Alti e possenti i più, tutti con visi che trasudano
intelligenza viva. Slanciate e leggiadre, moltissime, sognano un futuro di pari
opportunità che renda merito al loro attuale impegno. All’apparenza i nostri
giovani hanno tutto quello che avremmo potuto desiderare in passato: vivono
un’epoca veloce, dove le notizie viaggiano da un capo all’altro del mondo in
qualche centesimo di secondo (conti alla mano); sono immersi in un mare di
informazioni praticamente su tutto, dai sintomi di una banale influenza alla
più recente scoperta scientifica. E tutto a portata di mano, sui loro “tablet”
o sugli “smartphone”. Il “personal computer” tende, perciò, ad assomigliare
sempre di più a uno strumento di lavoro piuttosto che a un mezzo per comunicare
informazioni e nozioni, stati d’animo e sentimenti.
Vivi, di quella vita che appartiene solo alle giovani
membra, che rendono piacevoli le giornate allo stadio o al palazzetto dello
sport nell’ammirare gesti acrobatici che noi non possiamo più compiere. Quando
si siedono nei banchi di scuola o nelle aule delle università d’Italia, sono
sempre loro, forse non i migliori in assoluto, ma certamente tra i più bravi.
Eppure sempre esposti ai rischi di visioni oniriche, come quella classica del
paese dei balocchi, propinate da sempre più numerosi venditori di morte.
Ecco, questo hanno e questi sono i nostri giovani, di cui
ogni genitore va - giustamente - fiero. Eppure, ci siamo mai chiesti, come
genitori, come educatori, come amministratori, quali sogni essi coltivano nei
loro cuori? Ci siamo mai chiesti se nei loro sogni esiste ancora questo lembo
di terra che a poco a poco vediamo noi stessi svanire, quasi non appartenesse
più a nessuno? Oppure, discorrendo con loro, non notiamo forse una certa
disaffezione per queste catene montuose che limitano soltanto il “guardo”,
senza suscitare più quel sentimento di affetto che “l’ermo colle” Leopardiano
riusciva ad infondere nell’animo del poeta? Ci siamo chiesti, infine, se ancora
vedono “splendori sul Vallo”? E se nessun bagliore si scorge nei loro occhi
quando parliamo della nostra vallata, ci siamo mai chiesti perché ciò avviene?
Un’analisi sociologica non troppo lontana dal vero la
ritroviamo in uno scritto del compianto Gerardo Ritorto. Nel giustificare l’opera
faraonica del Centro Sportivo Meridionale, costata 15 miliardi di lire circa quaranta anni fa e mai
completata, agli inizi degli anni ottanta egli scriveva: La mancanza di infrastrutture per lo
sport ed il tempo libero, il disinteresse degli Enti Locali per i problemi dei
giovani, una legislazione “ottocentesca” che non permette alla “spesa pubblica”
di rivolgersi con maggiore interesse a questo primario settore dei servizi
sociali, hanno contribuito ad un più forte isolamento delle aree interne.
L’opera
mastodontica, largamente sovradimensionata per le esigenze delle giovani generazioni
del posto, avrebbe dovuto ospitare eventi di richiamo nazionale e
internazionale, ma tutti sanno come sono andate a finire le cose, non certo per
colpa di questo padre nobile della politica locale, che preconizzava lo
spopolamento delle aree interne con queste semplici ed efficaci parole: I giovani, in special modo, preferiscono
individuare occasioni di lavoro nelle aree metropolitane più attrezzate
alimentando, anche per questo, lo squilibrio territoriale. Un altro passaggio illuminante,
dunque, dove si coglie il problema dello “squilibrio territoriale”, che,
secondo chi scrive oggi, è dovuto soprattutto alla carenza di infrastrutture
primarie (reti di comunicazioni veloci, reti idriche e fognarie efficienti,
reti viarie sicure, servizio di trasporto pubblico capillare, strutture
scolastiche all’avanguardia, un’urbanistica accogliente e moderna, e altro
ancora) piuttosto che all’assenza di strutture sportive. Il fenomeno dello
spopolamento delle aree interne della nostra provincia e del Sud in generale,
invece, è da addebitare soprattutto all’assenza di un’offerta di lavoro in
loco, piuttosto che all’assenza degli stadi di calcio. All’assenza di un
progetto di futuro sostenibile, in poche parole.
Quarant’anni trascorsi invano. Chi parlava di “gestione comprensoriale del territorio”
ha lasciato un’eredità immensa a persone che forse nemmeno riescono ad
apprezzare l’analisi dei problemi sociali fatta dall’allora Presidente della
Comunità Montana. Ma qualcuno c’è che ancora insegue, forse anche poco
convintamente, queste idee che avevano un senso già quarant’anna fa.
Per i nostri giovani, quindi, bisognerà mettere in campo le
energie migliori, gli sforzi più degni per ridare fiducia a chi si affaccia
oggi alle meraviglie della vita. E questa deve essere la stella polare per
orientare l’azione politica di chi si candiderà alle prossime amministrative
nella vallata. Le solite becere spartizioni di un potere effimero, che si
consuma nel volgere di una o due legislature col promettere prima e col
concedere poi (se ce ne sarà mai l’occasione) qualche posto all’amico o al
parente (anche stretto), lascino il posto a una visione più ampia della nostra
società in piena crisi d’identità. Il futuro di questi giovani non può più
essere affidato nelle mani di chi, al netto di certificati giudiziari più o
meno integri, non ha saputo valorizzare competenze e vocazioni locali. Si dia
spazio a idee nuove, trasmesse con coraggio da giovani e meno giovani; si dia
fiducia a chi non ambisce alla gestione del pubblico per gli affari che se ne
potrebbero ricavare. Affinché queste terre possano conoscere un nuovo
risorgimento, dopo le promesse di quaranta anni fa, infrante da una classe
dirigente che ha semplicemente riprodotto, su scala locale, tutti gli
insuccessi accumulati dalla mala-politica in campo nazionale, si lasci il campo
sgombro da ingegnerie numeriche e si chiamino i più degni e i più capaci a
guidare questa vallata fuori dal guado, nell’interesse di tutti, dei giovani in
primo luogo.