“La vicenda
non finirà qui, ma in un’aula di Tribunale”. Questa è una parte della
dichiarazione che il sindaco-avvocato di Sala Consilina ha rilasciato alla
stampa locale dopo l’episodio avvenuto presso la casa comunale la mattina del 9
ottobre scorso. I fatti, così come si possono riassumere da quanto si apprende
dai giornali, sono i seguenti. Un trentenne disoccupato con famiglia a carico si
reca al Comune per chiedere un colloquio, finalizzato all'ottenimento di un
posto di lavoro nell'ambito della raccolta dei rifiuti solidi urbani, con il sindaco
di Sala Consilina. Sembrerebbe che, alla risposta non positiva del sindaco e
del vicesindaco, entrambi al momento impegnati in una riunione nella sede
comunale, il giovane abbia reagito in malo modo. La stampa riporta che la
persona disoccupata è stata successivamente denunciata a piede libero, da
entrambi gli amministratori, per danneggiamento e tentata aggressione. In seguito
a questa notizia, è arrivata immediata la solidarietà, da parte del PD locale, ai
due amministratori del Comune di Sala Consilina.
Per quanto concerne un’analisi più serena dei fatti,
forse sarebbe bene aggiungere alcune considerazioni, che giustificano questo
intervento fatto a titolo puramente personale. Premetto – per non lasciare
alcun dubbio sull'adesione dello scrivente alla cultura del rispetto delle
regole - che l’uso della violenza fisica e verbale è sempre da condannare, sia
quando i cittadini protestano per i propri legittimi diritti, sia quando gli
amministratori o i pseudo-politici locali stigmatizzano anche con toni
offensivi (è successo!) quelle che essi percepiscono come indebite ingerenze, da parte di rappresentanti di
associazioni locali residenti in altri paesi del Vallo di Diano, nei fatti
rientranti nel perimetro del Comune, che è forse ritenuto invalicabile.
Veniamo al punto. Secondo chi scrive bisogna
considerare, nell'analisi dei fatti, non solo la nostra contiguità amicale o
politica al potere amministrativo locale, ma anche lo stato di esasperazione
che la mancanza di lavoro può indurre in un giovane padre di famiglia. Si spera,
infatti, che tale condizione emerga nell'aula del Tribunale a cui approderà,
forse in altra regione, la questione. Tuttavia, leggendo di questi fatti e ascoltando
alcuni commenti, viene immediatamente alla mente l’articolo 4 della
Costituzione Italiana, di cui si riporta integralmente il testo: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini
il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie
possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al
progresso materiale o spirituale della società”. Parole straordinarie,
dosate nel modo più equilibrato possibile. Si parla di diritto al lavoro, ma
anche del dovere di svolgere “un’attività o una funzione” all'interno della
collettività, affinché la stessa possa progredire anche dal punto di vista “spirituale”.
La richiesta che il giovane papà faceva era di un lavoro tra i più faticosi e
forse anche tra quelli meno retribuiti.
E così, con il rimandare all'aula di un Tribunale la
risoluzione del problema, forse si aggiunge disagio al disagio. Ecco che, con
questa lettera, vorrei fare un appello, affinché le istituzioni della
Repubblica Italiana possano “promuovere le condizioni che rendano effettivo” il
diritto al lavoro di tutti quanti oggi non hanno un impiego. Se l’attuale
difficile assetto socio-economico non permette di rendere “effettivo” questo
fondamentale diritto, si faccia di tutto per trovare una soluzione tampone al
disagio di molte famiglie. Alcune proposte di legge sono state presentate sul
reddito minimo garantito: si dia perciò corso all'esame di uno di questi testi
con urgenza. Non si dimentichi, inoltre, che la nostra Repubblica è stata fondata
sul lavoro e così ci si adoperi, nel futuro, per trovare un’organizzazione
sociale che onori lo spirito del caposaldo fondativo della nostra civiltà
politica.
Infine, per quanto riguarda il giovane che avrebbe –
e se lo ha fatto ha sicuramente sbagliato – causato danni a oggetti custoditi
nella casa comunale e tentato di aggredire gli amministratori, si spera che
l’amministrazione stessa voglia considerare anche la via della comprensione e
della riconciliazione. Si chiede, infatti, di attivare tutti i canali possibili
per risolvere questo e altri casi simili che possano essere presenti sul territorio
comunale, affinché la bussola di chi amministra non sia solo quella della
rigida regola, ma anche quella della solidarietà. Infatti, la crescita costante
dei costi di beni e servizi e la complessità dei fenomeni socio-culturali, a
cui siamo attualmente esposti, richiedono alle lavoratrici e ai lavoratori una
capacità reddituale sempre più alta per far fronte alle esigenze dei
componenti, in special modo se minori, della propria famiglia. Pertanto, in
attesa che nuovi assetti macro-economici possano risolvere le criticità
attuali, la via della solidarietà verso chi attualmente versa in serie
difficoltà economiche può e deve essere percorsa, a cominciare dagli
amministratori locali, che hanno contatto diretto con i cittadini e che
assolvono al difficile compito di farsi garanti dell’organizzazione dello Stato
Italiano sul territorio.