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venerdì 10 maggio 2019

Ritroviamo il nostro futuro

Considerazioni a margine della presentazione delle liste elettorali per il rinnovo del Consiglio Comunale di Sala Consilina: necessità di un rinnovamento dei canoni etici e sociali nella vita politico-amministrativa

Non sarà un post breve, perché non può esserlo. Pertanto, a chi avesse poco tempo da dedicare alla lettura, consiglierei semplicemente di non leggere, perché una scorsa superficiale a queste righe potrebbe risultare in un'inutile perdita di tempo. Lo stesso consiglio mi sento di dare a chi cerca concetti espressi in modo semplice e immediato: purtroppo non sempre si può. Infatti, è difficile rappresentare lo sconforto di chi scrive e di tanti altri cittadini. Il tema del post è brevemente indicato nel sottotitolo.

La premessa sarà più che breve: Sala Consilina è il principale paese del Vallo di Diano, ospita istituti scolastici e servizi di varia natura. Per questi motivi la cittadina non può essere considerata solo “proprietà politica” dei residenti. Prova ne è l’ultima vicenda legata alla chiusura della struttura dell’Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS), frequentato da giovani che provengono da vari paesi del circondario: la preoccupazione espressa dai genitori degli studenti sui “social network” dà l’idea di quanto questo paese appartenga a tutto il Vallo di Diano. Pertanto, lo slogan “#iovotosalese”, o altre trovate campanilistiche simili, non dovrebbero più trovare spazio nella realtà attuale. E con queste parole si dovrebbe porre fine all'inutile pantomima del richiamo al campanile, anche per evitare che alcuni, pensando in piccolo (ossia, localmente) adottino questi motti per fini elettoralistici e poi, allo stesso momento, si facciano paladini dell’idea di una città del Vallo, con la pretesa di agire territorialmente. D’altro canto, già negli anni ’80 un illuminato amministratore diceva che “bisogna affrontare e risolvere i problemi a livello comprensoriale”. Sarebbe il caso, quindi, di non perdere di vista questi preziosi insegnamenti.  

L’idea di fondo dell’assemblea popolare del 9 aprile scorso, indetta per chiamare a raccolta tutte le forze del rinnovamento per poter cambiare lo spartito, non solo i suonatori, per un nuovo canto a più voci che potesse rischiarare la visione del futuro della vallata, si rifà proprio a questa premessa. Tutti gli interventi in seno all'assemblea sono stati di spessore e hanno rafforzato l’idea che il riscatto del territorio potrà partire solo dal paese capofila. Gli interventi spontanei sono venuti da persone che hanno o hanno avuto un ruolo politico e sociale a Teggiano, a Padula, a Sala Consilina. L’assemblea è stata perciò un momento di riflessione collettiva sulle dinamiche sociali che hanno portato allo stallo socio-economico attuale. Allo stesso momento, attraverso la stessa assemblea, è stata sondata la possibilità di dar vita a un movimento trasversale, che si riconoscesse nei princìpi fondanti della Costituzione Italiana, per poter “affrontare e risolvere a livello comprensoriale” i problemi che affliggono il nostro territorio. Questo movimento non poteva non trovare espressione in un momento di confronto democratico, senza improvvisazioni di sorta, ma con l’apporto dell’esperienza e della volontà di riscatto che ciascun cittadino avrebbe potuto apportare all'azione collettiva. E però l’appello è caduto nel vuoto per le ragioni che andremo a esporre.

Innanzitutto, dobbiamo ancora specificare che l’appello era rivolto a tutti coloro i quali avrebbero voluto contribuire a una nuova stagione di idee per il territorio. Ci si svincolava così dalle appartenenze di partito e si guardava con favore a chi non propugnasse politiche anti-meridionaliste o antidemocratiche. Questo era stato detto in chiaro sia nell'invito, sia nella parte introduttiva dell’assemblea popolare. Ma perché c’era bisogno di un incontro con la popolazione per poter, eventualmente, portare avanti anche la costituzione di una lista per concorrere alle presenti amministrative? Erano arrivati segnali chiari. Una lista di un movimento politico che si fa garante di politiche a favore dell’ambiente e dell’acqua pubblica non era sorta; la conferma l’abbiamo avuta solo il 27 marzo scorso, non già in modo diretto, ma perché quella data costituiva il termine ultimo per la presentazione dell’elenco dei candidati all'agenzia garante del movimento stesso. Stava poi accadendo un fatto strano: amministratori del passato che avevano ricoperto ruoli apicali a livello comunale, stavano organizzando, alcuni in prima persona, alcuni per interposto congiunto, una lista da contrapporre a quella dell’amministrazione uscente. E fin qui tutto legittimo. Si comprende bene che “il potere logora chi non ce l’ha” (mi dispiace citare questa frase, ma non ne trovo altre più adatte). Così, “contro il logorio della vita moderna” (questa citazione è presa direttamente dal tanto amato Carosello), ci si può anche lanciare in operazioni di vago sapore “vintage”. L’aspetto comico, se non vogliamo definirlo tragico, è che alcuni vogliono far credere che in questo modo ci si possa preparare a lavorare per il futuro del Vallo. In realtà si stanno semplicemente perpetrando liturgie pseudo-politiche cui siamo soliti assistere da qualche tempo a questa parte.

Pur tuttavia, era molto chiaro a chi scrive l’interesse trasversale, non solo di una parte, di fagocitare forze potenzialmente attive di donne e uomini capaci di lavorare per il rinnovamento di idee e metodi. Alla fine, forse grazie proprio alla scaltrezza, che non fa difetto ad alcuni amministratori del passato, queste ultime forze sociali, contro ogni nostro auspicio, si stanno oggi avviando a sperimentare l’abbraccio esiziale di forze (certo di segno opposto) che tenderanno inevitabilmente a oscurare quanto di potenzialmente buono queste stesse donne e questi stessi uomini avrebbero potuto esprimere in una compagine che facesse chiaramente riferimento al futuro e non già al passato.

Al di là della legittima ironia sul fatto che, durante questi anni, nonostante l’assenza del Tribunale, il Consiglio comunale si stia tramutando in un foro (anche se alcuni potrebbero pensare a un vero e proprio buco nero, visti i servizi che stanno pian piano scomparendo nel nulla), fa riflettere un aspetto, in particolare. Infatti, di recente non pochi hanno notato come siano soprattutto alcuni rappresentanti di una specifica categoria professionale quelli più attivi dal punto di vista politico-amministrativo. Qualcuno forse pensa di aver ricevuto un'investitura speciale nell'abbracciare la propria professione e che i cittadini abbiano firmato un mandato per essere rappresentati anche in ambito politico. E però è vero che sono proprio questi professionisti i veri protagonisti dell’ultima stagione valdianese; tutti gli altri soggetti sociali si sono accontentati del semplice ruolo di “comparsa”. Il ruolo della “scomparsa”, invece, viene puntualmente ricoperto dalla classe intellettuale, se ancora ne dovesse esistere una localmente. E così, assistiamo a un lento assottigliarsi delle capacità rappresentative di una vasta fascia della popolazione locale che delega a chi, per impostazione professionale, ha una visione abbastanza unilaterale delle questioni. Pertanto, potremmo anche scherzare sul fatto che tutti i candidati a sindaco hanno come lettere iniziali “Ca”. Ironia per ironia, potremmo dire che, se mettessimo in fila queste iniziali, potremmo ottenere lo spunto per definire un nuovo tipo di ballo, cacofonia a parte. Il fatto sostanziale, tuttavia, è che queste persone sono stati capaci di aggregare, per motivi non completamente chiari allo scrivente, l’interesse di altre categorie di cittadini, indipendentemente dalla evidente egemonia politico-amministrativa di questa classe di professionisti, che la società civile dovrebbe non solo cercare di neutralizzare dal punto di vista politico, viste le ultime vicende legate al Tribunale di Sala Consilina, ma anche contrastare (sempre in ambito politico) in modo deciso, proprio per ridare una rappresentanza meno corporativistica alla vita democratica del nostro territorio. Di contro, la complessità dei problemi legati alla vita sociale, che abbisogna del contributo di varie competenze e di diversi approcci, è lasciata per lo più all'attenzione di una singola categoria di persone. Su questo aspetto è bene che la politica si interroghi. D’altro canto, le altre categorie, sempre che i singoli non trovino un riscontro utilitaristico nelle attività amministrative, dovrebbero avvertire il bisogno di far sentire la propria voce in un consesso che non è fondato sul puro tecnicismo, ma è espressione di esigenze e aspirazioni che promanano dagli strati più vasti della società.

In particolare, la classe intellettuale non dovrebbe solo limitarsi all'invettiva episodica e sterile, ma dovrebbe proporre un percorso culturale di emancipazione dal gretto localismo al quale siamo condannati da una visione utilitaristica del momento elettorale. La partecipazione alla vita politica e sociale dovrebbe essere così vista come un valore aggiunto e non come una diminuzione della propria figura professionale. E, tuttavia, comprendiamo come un intellettuale non abbia nulla da recuperare, in termini di convenienza spicciola, da un tale impegno; cosicché un atteggiamento snobistico nei confronti dell’attività politica è da considerarsi un comodo pretesto per giustificare un esecrabile disinteresse alle questioni locali. Senza tener conto che il “quieto vivere”, fatto anche di buone letture e di splendide produzioni letterarie, potrebbe essere turbato da un’attività che impegna parte della propria attenzione e del proprio tempo libero. Pertanto vanno senz'altro bene le iniziative culturali episodiche, che tendono a mettere in chiaro, per correggerle, alcune derive razziste, ad esempio. È tuttavia necessaria una più precisa indicazione di un progetto collettivo di cui solo la classe intellettuale può e deve farsi carico, proprio perché distante da quella convenienza spicciola che potrebbe animare un operatore sociale interessato alle commesse di un ente pubblico. L’indipendenza, la sensibilità e le competenze di un intellettuale non sono, pertanto, da trascurare in questo momento della vita sociale e politica del territorio, che sta arretrando non solo sul piano socio-economico, ma anche sul piano culturale, proprio per il colpevole prolungato silenzio di una comunità di menti che tende a distinguersi, per la massima parte, per mezzo dei propri tratti individualistici e narcisistici. La reazione scandalizzata nel vedere che ruoli di vitale importanza per la vita sociale vengono ricoperti per lo più da persone prive di strumenti culturali, utili a decifrare la realtà e ad articolare una risposta adeguata alle esigenze di una collettività di anime senzienti, non può più costituire un alibi per continuare a rimanere inerti, ma deve essere considerata una colpa che la classe intellettuale può espiare solo attraverso un impegno puntuale nella vita politica locale e nazionale. 

Inoltre, il concionare sulle grandi questioni mondiali, quale il mutamento climatico in atto, e poi rimanere indifferenti alle questioni di inquinamento ambientale a corto raggio, lasciando che siano sempre i soliti noti a interessarsi della difesa del territorio, come se solo a questi fosse demandato questo gravoso compito, è poi un atteggiamento che non può essere individuato con epiteti benevoli. Così nessun intellettuale si è accorto del florilegio di candidati, condotto con metodo scientifico in campo avversario, per contestarne l’inopportunità. Nessun intellettuale ha evidenziato l’assoluta incongruenza etica, prima ancora che politica, della composizione delle liste elettorali in cui appaiono assonanze e discrepanze, inclusioni ed esclusioni, ripetizioni “ad libitum” e apparizioni estemporanee. Siamo soliti tollerare anche clamorosi balzi in avanti e all'indietro, siamo proni a tutto, pur di salvaguardare quella immutabile “pax” che prima o poi verrà rotta dall'incedere prepotente dell’arroganza del potere locale, sempre più privo di freni inibitori, perché la pubblica opinione non è più capace di alcuna reprimenda, essendo le nostre stesse colpe, collegate a lunga latitanza o a una voluta negligenza dei fatti, fin troppo gravi. Questa arroganza diverrà palpabile e si diramerà, attraverso gli accoliti di turno, se tutte le fasce sociali non si organizzeranno per dare una risposta politica adeguata alle esigenze della collettività valdianese. Infatti, con il perdurare dell’abbandono del campo sociale da parte della classe intellettuale, le prospettive future non potranno che essere quelle che oggi stiamo vivendo come una sorta di caccia al tesoro, condotta esclusivamente da una singola componente sociale, affiancata da soggetti con interessi più o meno palesi.

E ci chiediamo se sia possibile evitare che la caccia al tesoro venga condotta per lo più in modo sotterraneo, ossia, con le stesse modalità con le quali sono state condotte le trattative per la costituzione delle liste. Se sia possibile, quindi, evitare che si dia la stura ad uno dei momenti meno edificanti della vita collettiva condita di invettive, maldicenze, pettegolezzi, illazioni, insinuazioni. A tutto questo la classe intellettuale potrebbe sopperire con un dialogo pacato sul futuro di queste terre, sui programmi da mettere in atto, sui metodi con i quali affrontare e risolvere le problematiche in campo e, infine, sull'inversione di rotta nella concezione della vita amministrativa, non più mera risposta a situazioni contingenti, ma visione di una città del futuro, intelligente in ogni sua forma, legata alle tradizioni e allo stesso tempo aperta ai cambiamenti, culturalmente attiva e socialmente produttiva, tanto quanto basti per scongiurare l’attuale continua emorragia di giovani forze.      

Eppure, pur riconoscendo l’assoluta necessità di concepire un futuro prossimo che lasci qualche speranza soprattutto ai più giovani, siamo adesso costretti a ripensare al nostro passato, nel migliore dei casi. Nel caso peggiore saremo vittime di un passato remoto che fatica a lasciare le briglie di una carrozza destinata allo sfascio. A chi dice che gli interpreti della prossima vita politico-amministrativa sono anche dei giovani, bisogna rispondere che l’età anagrafica è un aggravante in questo caso, perché questi rampolli avranno sicuramente ereditato metodi e idee dei protagonisti di una stagione fallimentare. Pertanto, il tratto peggiore in tutta questa triste vicenda è che il passato si sta impossessando del futuro prossimo, soggiogandolo in un stretta che lascia poche speranze al cittadino. A meno che quest’ultimo non trovi la forza per uno scatto d’orgoglio che possa mandare un chiaro segnale a chi ha ordito queste trame e, all'esterno, a chi deve interpretare il dato politico che proviene dalle urne. “Spes ultima dea”: il futuro è ancora tutto da scrivere e molti cittadini non sono più disposti a sacrificarlo a un passato irto di non-imprese, per giunta fallimentari.

lunedì 6 maggio 2019

Ospitalità a Giulio Pica

Concedo molto volentieri ospitalità sul mio blog a Giulio Pica, il quale desidera proporre questo tema di discussione all'attenzione dei cittadini del Vallo di Diano.



L’importanza di un’Europa Unita


Giulio Pica

A poche settimane dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo non si prevede alcun incontro sul tema a Sala Consilina e dintorni; i contendenti alla carica di sindaco o di consigliere comunale sono troppo indaffarati a cercare consensi, a comporre le liste riempendole di persone di destra, di sinistra, di centro, tutte insieme appassionatamente, tanto si sa che a livello locale conta l’ampiezza della famiglia e non la convinzione personale.

Perciò può capitare che un candidato sindaco di sinistra ospiti nella propria lista candidati di destra e viceversa, in spregio a qualsiasi coerenza ed in nome di interessi reciproci che poco hanno a che fare con l’idea che si ha – se la si ha – dello sviluppo che si vuole imprimere al proprio territorio. Eppure scorrendo le immagini agghiaccianti del ministro Salvini che osserva con orgoglio, da una torre di guardia, la recinzione di filo spinato fatta costruire dal premier ungherese Orban per blindare i confini del suo paese, si dovrebbe provare un moto d’indignazione e cercare di informare gli elettori sull'importanza del voto europeo e sull'urgenza di porre un freno alla crescita di partiti e movimenti sedicenti ”sovranisti”.


Si può comprendere che una costruzione europea basata soltanto su rigidi principi liberisti abbia negli anni creato disaffezione e malessere tra i ceti meno abbienti di ciascuno Stato, che il dogma del libero mercato abbia ridotto garanzie e forme di protezione sorte all'ombra dello Stato-nazione ed abbia acuito l’insicurezza dei penultimi a scapito degli ultimi. Ma bisogna ricordare che l’attuale Unione Europea è il risultato di scelte compiute all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, adottate proprio per evitare che i nazionalismi esasperati potessero provocare una nuova guerra in Europa. Tutto sommato, la CEE prima e l’UE negli anni recenti, hanno garantito 70 anni di pace, la produzione legislativa europea –  i Trattati, i regolamenti e le direttive -  ha assicurato standard omogenei di tutela dei diritti di tutti i cittadini europei: dalle norme a tutela dei consumatori, a quelle sul giusto processo, a quelle a tutela dei diritti fondamentali contenute in vari trattati europei, a cominciare dalla Carta di Nizza del 2000.

Nonostante questi indubbi vantaggi, l’Unione Europea è stata percepita unicamente come una combriccola di banchieri e burocrati interessati ad affamare il popolo ed ingrassare le élite. Questo miscuglio di frustrazione, insicurezza e cattiva informazione ha costituito la linfa vitale di cui si nutre la demagogia populista e sovranista al fine di distruggere l’idea di Unità europea e di deviare la rabbia dei penultimi contro gli ultimi, ovvero immigrati ed extra-comunitari, additati come la causa di ogni male. Nel corso della storia, i demagoghi hanno sempre individuato un capro espiatorio su cui scaricare il malessere del popolo: prima i barbari, poi le streghe, poi gli eretici, gli ebrei, i selvaggi ed ora gli immigrati, preferibilmente neri africani. I vari leader nazionalisti europei sembrano avere un’idea comune ma, in realtà, un nazionalismo solidale è un ossimoro, è come dire che il ghiaccio è caldo ed il fuoco è freddo.

E’ evidente che se Orban non vuole accogliere neanche un migrante in Ungheria, i migranti resteranno in Italia; è palese che i nazionalisti tedeschi di AFD o i nazionalisti austriaci non concederanno mai all'Italia di sforare i conti; è ovvio che gli amici di Salvini, ungheresi, cechi e polacchi, non accetteranno mai di ridiscutere il Trattato di Dublino per consentire che gli immigrati sbarcati in Italia siano redistribuiti nei loro territori. Il nazionalismo è un male in sé perché è il prodotto dell’esasperazione dell’idea di nazione, perché, nel corso del XX secolo è stato la causa principale dello scoppio di due tremende guerre mondiali, perché scatena il rancore dei ceti meno abbienti e lo indirizza verso i meno garantiti, perché mette gli uni contro gli altri con la falsa promessa di proteggere i più poveri. Il nazionalismo si declina anche attraverso l’intolleranza ed il razzismo di cui si sono avute molte manifestazioni anche in Italia negli ultimi anni.

In aggiunta a tutto ciò, Il rifiuto di Salvini di commemorare il 25 aprile rappresenta una violazione dei principi costituzionali, è una mancanza di rispetto per quella Costituzione sulla quale lo stesso ha giurato al momento di assumere l’incarico di ministro della repubblica. Per questo un’ Europa unita, più attenta alla società e meno al mercato, può essere un antidoto alla furia distruttiva dei nazionalismi e dei sovranismi che rischiano di far rivivere, anche se in forme meno cruente e diverse, fenomeni deleteri che hanno sconvolto la società europea nella prima metà del secolo scorso.