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domenica 23 settembre 2012

Una nuova politica per un futuro sostenibile


Concentrando la nostra attenzione sull'attuale crisi economica, non possiamo non notare la mancanza di qualsivoglia utile indicazione, da parte dell’attuale compagine tecnica al governo, per il superamento dello stato di disagio collettivo, avvertito – più intensamente – dalle classi sociali più deboli. Il drenaggio continuo sul fronte dei diritti, infatti, non può essere una risposta alla crisi produttiva che genera disoccupazione. E mentre qualche partito da un lato invoca “più diritti” nell'agenda governativa, dall'altro vota per la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. 


Un rione di una città intelligente (figura tratta dal sito della
ditta Renault - www.renault.com)
Per comprendere meglio lo scenario produttivo che oggi abbiamo sotto gli occhi, prendiamo un esempio su tutti: l'industria automobilistica italiana. La diminuzione del potere d’acquisto dei salari e l'elevato prezzo dei carburanti, delle tasse automobilistiche e delle tariffe assicurative stanno determinando una forte contrazione della domanda di nuovi autoveicoli. Naturalmente, perdurando queste condizioni al contorno, sarebbe impensabile un aumento, nel breve periodo, delle vendite di autovetture. Pur tuttavia, una grossa opportunità è data oggi dall'utilizzo delle energie alternative per sviluppare innovazione, per favorire l'avvento di una auspicabile “mobilità sostenibile” e per creare nuova occupazione. Infatti, oggi è possibile sfruttare le energie rinnovabili per produrre elettricità e per far circolare in modo molto più efficiente le autovetture, con un impatto sull'ambiente di gran lunga minore rispetto a quello prodotto da auto con motori a combustione interna. Alcune case aumobilistiche quali la Renault, ad esempio, stanno sperimentando, su piccola scala, un nuovo modo di intendere la mobilità pubblica e privata. Intervenendo alla seconda edizione della Conferenza Europea sull'Energia, che quest'anno si è tenuta nella ridente cittadina di Maastricht in Olanda, il Vice-Presidente del Settore Ricerca della casa automobilistica francese, Remi Bastien, ha illustrato in che modo si può trasformare un'isola, presa come microcosmo sperimentale, in una “smart community” (letteralmente “comunità intelligente”; il vero significato della locuzione, più appropriato al contesto, sarà chiarito in quello che immediatamente segue).


Una città intelligente, o “smart city”, è un complesso urbano nel quale viene prodotta energia elettrica “distribuita” attraverso energia solare, eolica, idrica, geotermica, etc.; in altre parole, ogni abitazione non deve essere vista solo come unità di consumo, ma anche come unità produttiva di energia. Pertanto, la figura del consumatore di energia nel futuro sarà sostituita da quella del “prosumatore”, ossia, produttore e consumatore insieme. Naturalmente, perché sia possibile definire – in questa nuova accezione - una città, o una comunità, “intelligente”, vi è bisogno che il trasferimento di energia sulla rete avvenga in modo rapido ed efficiente. Per questo vi sarà bisogno di far circolare l’energia sulla rete elettrica tenendo conto delle varie possibilità di produrla e consumarla in tutti i possibili punti della “città intelligente”, nello stesso modo in cui l’informazione circola sulla rete telematica. Pertanto, in una “città intelligente” i punti di distribuzione dell’energia elettrica per le automobili saranno posti presso le nostre abitazioni, nei luoghi pubblici, nei posti di lavoro e lungo le strade. Altre opzioni verdi per l'autotrasporto sono i motori a idrogeno, già sperimentati in piccola scala dalla NASA nelle missioni spaziali per la produzione di energia elettrica dall'idrogeno e dall'ossigeno attraverso la cella a combustibile, e di acqua, che è il prodotto “pulito” della combustione dell'idrogeno. Il liquido prodotto, pura acqua distillata, serviva agli astronauti per le loro bevande.

Per realizzare questo “sogno” vi sarebbe bisogno di una nuova politica e di una classe dirigente all’altezza delle sfide che attendono l’Umanità. Non necessariamente scienziati o tecnocrati, ma persone competenti e oneste che intendono la politica come servizio alla collettività, perché questa possa progredire in modo armonico. Amministrare un piccolo paese è cosa diversa (e forse non meno difficile) del governo di un'intera Nazione. Eppure, dalla qualità della classe politica locale dipende la fortuna dell’intera Nazione: una pletora di persone corrotte nelle amministrazioni delle città fa fiorire mostri a  più teste anche nel posto più sacro del potere politico: il Parlamento. Una maggioranza di persone oneste e dedite al bene comune promuove a propria rappresentanza esponenti politici con le stesse attitudini. Una semplice verità che la politica ha oggi dimenticato, perché o è usa affidare a tristi personaggi la gestione dei voti in ogni recondito angolo del nostro Paese, oppure è fautrice dei “partiti leggeri” che generano altrettanti mostri.

La nuova politica dovrà guidare il processo di rinnovamento dei processi produttivi, incentivando le innovazioni necessarie e investendo nelle infrastrutture a supporto di un nuovo sistema di trasporti non più legato all'utilizzo dei derivati del petrolio. Questo semplice esempio ci fa capire come potrebbe essere risolta l'attuale crisi nel settore metalmeccanico, se solo si avesse più coraggio e lungimiranza. Tuttavia, una politica che tenda alla sistematica demolizione delle conquiste fatte nell'ambito delle tutele dei diritti del lavoratore non solo non ha futuro, ma distrugge l'avvenire stesso delle nuove generazioni. La mancanza di slancio programmatico verso nuovi modelli produttivi, non solo nel campo automobilistico, e verso una nuova visione di un futuro sostenibile per l’intero globo terrestre appartiene al DNA di una classe dirigente logora. La nuova politica, invece, potrà e dovrà mettere in campo progetti di ampio respiro, fondati sulla giusta redistribuzione del reddito, sui diritti costituzionalmente garantiti, sulla sostenibilità ambientale, sulla lotta alla corruzione e alla malavita organizzata, sull'innovazione e la ricerca, sull'emancipazione economica e culturale delle classi sociali più svantaggiate. Alla nuova politica, in sintesi, sarà affidata una rivoluzione epocale simile a quella che fu portata avanti, a metà del XIX secolo, dai movimenti democratici e illuminati di questa Penisola.               

domenica 9 settembre 2012

La decrescita infelice


Come deprimere il livello di felicità della società presente senza pensare a un futuro modello produttivo sostenibile

(Articolo tratto da un lavoro dell’autore pubblicato in “Revista Brasileira de Ensino de Fisica” [1])


Tutti i cittadini sono soggetti alla grave crisi economica che sta mordendo in modo profondo i tessuti più esposti della società italiana. Purtroppo, non tutti i cittadini sono in possesso dei mezzi analitici sufficienti per poter comprendere fino in fondo il formarsi del debito pubblico e la dinamica dello stesso nel corso degli anni. Eppure, il dibattito sui grandi temi economici e, in particolare, sulla dinamica del debito pubblico nazionale, viene proposto, sui mezzi di informazione, come se ognuno di noi fosse un esperto economista. Pertanto, potrebbe essere opportuno fare un breve excursus su quanto predice la teoria classica, ben riprodotta nel lavoro di R. J. Barro del 1979 [2], per comprendere più a fondo, con metodi quantitativi semplici, alcuni aspetti legati alla difficile fase economica che stiamo attraversando. Concluderemo che stiamo di fronte ad una fase di “decrescita infelice”, che negli anni futuri darà conseguenze tanto più gravi quanto più trascuriamo di considerare modelli socio-economici alternativi all’economia di mercato così come la conosciamo oggi.


Fig. 1  Dinamica del debito pubblico per la seguente scelta dei parametri: b0/t0 =0.3, G0/t0 =1.3, r =0.06. I valori dei tassi di crescita r sono I seguenti: 0.050 (curve in basso), 0.025 (curve al centro), 0.010 (curve in alto). Nel caso delle curve continue la spesa pubblica è mantenuta costantemente uguale a G0; nel caso delle curve tratteggiate è prevista una maggiore spesa per combattere l’evasione fiscale. 


Dal modello di Barro, come mostrato nella fig. 1, si può ricavare l’andamento del debito pubblico per vari valori del tasso di crescita r dell’economia di un Paese. Il tasso di crescita, ricordiamo, può essere misurato attraverso l’osservazione dell’incremento relativo del Prodotto Interno Lordo (PIL). Si può assumere che in una fase di crescita dell’economia, tale tasso r sia pressocché costante (questa ipotesi viene fatta per poter più agevolmente calcolare analiticamente le grandezze in gioco e non è una condizione necessariamente rispettata nella realtà). Supponiamo allora che, partendo da un certo livello G0 della spesa pubblica, rilevata ad un dato anno, si possa normalizzare tale quantità attraverso l’ammontare t0 delle entrate che, nello stesso anno, il governo di uno Stato riesce a realizzare. Prendiamo il rapporto G0/t0  pari a 1.3, come in figura, cosicché - notando che la spesa pubblica è maggiore di  t0  - lo Stato sarà costretto ad indebitarsi, per una quantità b0, acquistando denaro da una banca di riferimento ad un tasso di interesse r, che in fig. 1 è preso pari al 6%. 

La teoria classica della dinamica del debito pubblico allora cosa predice in presenza di queste semplici ipotesi? Concentriamoci, per il momento, sulle curve continue della figura, per le quali lo Stato decide di mantenere fissa, nel corso degli anni, la spesa pubblica. Come si può notare, pur ipotizzando un tasso di crescita dell’economia maggiore di zero, non per tutti i valori di r le curva del debito pubblico bn (dove n sta per l’anno di riferimento a partire dall’anno “zero”) vanno, in un certo lasso di tempo n=N, verso l’estinzione del debito (ossia, verso il valore bn=0). In particolare, se r > r (il tasso di crescita è maggiore del tasso di interesse), allora l’estinzione del debito è sempre possibile. Ma questa ci sembra un’ipotesi fin troppo ottimistica per la fase storica attuale; scarteremo quindi questa particolare condizione. Nel caso contrario, ossia, per r < r, il debito potrebbe essere ripagato in un certo numero di anni N, come accade nelle curve che ripiegano dopo un’iniziale salita, oppure esplodere, come si nota nella curva in alto.

Nel caso della curva più bassa, per la quale r=0.05, ossia un tasso di crescita pai al 5%, il debito iniziale viene ripagato in circa 12 anni. Se lo Stato decidesse di spendere una certa somma in più ogni anno per evitare, con la crescita del PIL, l’elusione o l’evasione fiscale, allora ci troveremmo in presenza del caso simulato dalla linea tratteggiata [3]. Lo stesso significato assume la linea tratteggiata accanto alle altre curve continue. La curva immediatamente al di sopra della prima in basso simula l’andamento del debito pubblico per r=0.025. Riducendo della metà la crescita, si vede come sia necessario attendere un periodo di tempo pari ad oltre il doppio del numero di anni previsto per r=0.05 per estinguere il debito. Tale attesa si prolunga di circa un altro anno nel caso supponiamo che sia la curva tratteggiata a simulare la dinamica di bn. Infine, seppure in presenza di crescita economica ad un tasso dell’1% (r=0.01), si assite ad un’esplosione del debito pubblico a causa – essenzialmente – dell’impossibilità di tener testa al crescere della spesa per gli interessi sul debito contratto a partire dall’anno zero.

Queste semplici conseguenze della dinamica del debito pubblico non attengono a una o a un’altra politica economica, ma sono frutto di una trattazione analitica del problema in presenza di ben specificate ipotesi. Se volessimo rapportare queste considerazioni al caso attuale, dovremmo notare che ben due condizioni non sono soddisfatte: la prima sulla crescita, perché stiamo fronteggiando una grave crisi recessiva; la seconda sul mantemimento del livello della spesa pubblica, per la vigorosa (ma quanto efficace?) azione di riduzione della stessa intrapresa dall’attuale governo. Sugli esiti di questa combinazione di condizioni iniziali potremmo tuttavia supporre che affronteremo, in questi lunghi anni a venire, una sorta di “decrescita infelice” per cercare di contrastare l’esplosione della curva di bn in alto in fig. 1, attraverso la riduzione della spesa. Tutta l’azione “tecnica”, tuttavia, sta avvenendo in assenza di un progetto per il futuro della Nazione. Sarà quindi opportuno incominciare a parlare da adesso di un modello produttivo sostenibile, diverso da quello attuale e perciò basato su paradigmi socio-economici inediti. Infatti, se non inizieremo a delineare una rotta di salvataggio da questo sempre più imminente naufragio, il recupero di un livello accettabile di felicità individuale e collettiva [4] potrebbe risultare sempre più improbabile nel medio termine.   


 [1] La presente analisi può essere utilizzata per una lezione interdisciplinare indirizzata agli studenti degli isitituti superiori. La trattazione, pertanto, è volutamente semplice. Tuttavia, è opportuno precisare che, per tener conto del grado di complessità intrinseco delle leggi della dinamica dei processi economici, modelli più sofisticati, che, ad esempio, contemplino la variazione col tempo dei parametri ritenuti costanti in questo breve scritto, dovrebbero essere utilizzati. Il lavoro è scaricabile gratuitamente dal sito di Revista Brasileira de Ensino de Fisica all'indirizzo URL seguente: http://www.sbfisica.org.br/rbef/pdf/344307.pdf

[2] R. J. Barro, On the determination of the public debt, The Journal of Political Economy, Vol. 87, No. 5, Part 1, 940-971 (1979).

[3] L’ipotesi classica, riportata nella trattazione di Barro, considera una spesa crescente al crescere delle entrate. 

[4] Il 2 febbraio 2013 si aggiunge la lettera pubblicata da Focus (vol. 244, febbraio 2013, pag. 143), riportata sotto.



martedì 4 settembre 2012

... nella grande pace che scese su di me, udii batter il cuore del mondo (§)




Ciò che distingue l'uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l'uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essaWilhelm Stekel, in Jerome David Salinger, Il giovane Holden, 1951.  










Tempo fa, mi sono imbattuto in un saggio dal titolo strano: WTO(*). Sottotitolo: Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale. Scritto nel 2001 da due ricercatrici di Public Citizen, una tra le più importanti organizzazioni ambientaliste e di difesa dei consumatori americani. I nomi delle autrici: Lori Wallach e Michelle Sforza. Riporto solo pochi passi della  prefazione scritta da Ralph Nader, il fondatore di Public Citizen.  

Approvando un accordo forte e inclusivo come il Wto, e altri accordi internazionali sul commercio quali il North American Free Trade Agreement (Nafta), il Congresso degli Usa, e con esso i parlamenti di altre nazioni, rinunciano in gran parte alla facoltà di determinare standard di sanità e sicurezza che proteggano i cittadini, accettando, sul piano legale, pesanti limitazioni alle proprie strategie. L'approvazione di questi accordi istituzionalizza una struttura economica e politica che consegna sempre più i singoli governi nelle mani di un sistema finanziario e commerciale globale, perpetrato per mezzo di un governo internazionale autocratico che favorisce gli interessi delle imprese globali.

Questo nuovo sistema di governo garantisce un immenso controllo sui minuti dettagli della vita di gran parte degli abitanti del pianeta. Questo nuovo sistema non è finalizzato alla salute e al benessere economico dei cittadini, ma all'ampliamento del potere e della ricchezza delle maggiori multinazionali e istituzioni finanziarie mondiali.

All'interno di questo nuovo sistema, molte scelte che coinvolgono la vita quotidiana delle persone vengono progressivamente sottratte alle facoltà dei governi locali e nazionali per essere trasferite a un gruppo di burocrati del commercio non eletti, che siedono nel chiuso delle stanze di Ginevra. Questi burocrati, per esempio, hanno oggi il potere di stabilire se la popolazione in California può intervenire per evitare la distruzione dell'ultimo tratto di foresta vergine sopravvissuto in quello stato, o per vietare la presenza nei propri alimenti di pesticidi cancerogeni; o ancora se i paesi europei hanno il diritto di esigere che non vi siano nei cibi che consumano, tracce di organismi derivanti da biotecnologie rischiose per la salute. Inoltre, una volta che le commissioni segrete del Wto abbiano emanato i propri editti, non può esservi alcun ricorso indipendente: la conformità dev'essere totale.

Sono quindi in gioco le vere e proprie basi della democrazia, e quella facoltà di decidere responsabilmente che è il supporto indispensabile di tutte le battaglie civili per un'equa distribuzione della ricchezza e per un'adeguata difesa della salute, della sicurezza e dell'ambiente. L'erosione della responsabilità democratica, e della sovranità locale e nazionale che ne è l'espressione, è ormai in atto da diversi decenni. La globalizzazione del commercio e della finanza è disegnata dalle multinazionali, che, in assenza di regole universalmente valide, manovrano semplicemente a partire dalle proprie esigenze. L'istituzione del Wto è un passo fondamentale per la formalizzazione e il rafforzamento di un sistema creato espressamente in funzione di questo.

Meglio definito come globalizzazione mondiale dell'economia, questo nuovo modello economico è caratterizzato dall'apposizione di vincoli sovranazionali alla facoltà legale e pratica dei singoli stati di subordinare l'attività commerciale ad altri obiettivi politici. La tattica della globalizzazione è quella di abolire la responsabilità e il potere decisionale su questioni così private quali la sicurezza dei cibi, dei farmaci o dei veicoli a motore, o il modo in cui un paese può usare o preservare il proprio territorio, la propria acqua, i propri minerali e altre risorse.

Oggi non si può aprire un giornale senza avere davanti una miriade di esempi dei problemi che emergono dalla concentrazione del potere: abbassamento del tenore di vita nella maggior parte dei paesi avanzati e in quelli in via di sviluppo; aumento della disoccupazione in tutto il mondo; esteso degrado ambientale e carenze di risorse naturali; scenari politici sempre più caotici; un'impressione di generale pessimismo che sostituisce l'ottimismo e la speranza nel futuro.


E riporto quanto scritto dalle autrici proprio alla fine del loro trattato:

Se anche non impararerete altro da questo libro, speriamo vi sia chiaro almeno il fatto che le centinaia di pagine e le migliaia di norme del Wto hanno poco a che fare con la filosofia liberista del XIX secolo. Anzi, dall’illustrazione di molte delle sue norme appare chiaro che il Wto è solo uno dei modi in cui può essere disegnata una legge.
Questo modello, giustamente chiamato “il sistema delle imprese globali”, non fa gli interessi della maggioranza dei cittadini. Anzi, gli esiti descritti da questo libro sono profondamente indesiderabili e inaccettabili. Ciò che in ogni caso risulta chiaro è che sul piano politico la tollerabilità e quindi la possibilità di sopravvivenza dell’attuale modello di globalizzazione sono assolutamente limitate.
Naturalmente, vi sono altri modelli che potrebbero sfociare in un progetto più equo, più sostenibile sul piano della salute e dell’ambiente e più democraticamente responsabile. Si tratta di sapere se la gente che nel mondo è insoddisfatta della situazione esistente riuscirà a educarsi e a organizzarsi per operare il cambiamento.

Nel 2003 si apriva una sede locale dell’associazione CODACONS, che intendeva (e intende) tutelare i diritti dei consumatori e intendeva (e intende) salvaguardare i beni ambientali della vallata. Ad alcuni è sembrato solo un caso, o l’opera di un folle (e trallallerullerullà e così via...). Ma forse un caso non è stato.

(§) « A Epidauro, nelle quite, nelle grande pace che scese su di me, udii batter il cuore del mondo» 
(Henry Miller, Il colosso di Marussi, 1941.)
(*) World Tade Organization, ossia, Organizzazione Mondiale per il Commercio. Secondo le ricercatrici Wallace e Sforza lo scopo dichiarato del Wto è quello di trovare regole per la liberalizzazione e la diffusione del commercio nel mondo. Ma il vero tema sul tavolo dell’organizzazione è l'espansione dei propri poteri a scapito delle legislazioni nazionali e, al contempo, l'estensione del dominio del commercio a tutta la sfera delle attività umane, al di là di quelle preoccupazioni ecologiche o etiche che possano "frenare" il rullo compressore della mercificazione.