Esistono, però, fatti che molti
operatori dell’informazione non possono dire, vuoi per pudore, vuoi per una
mera questione di legittimo impedimento.
La prima cosa da raccontare è che
una parte delle testate giornalistiche locali viene direttamente o indirettamente
finanziata dalle banche del comprensorio. In pratica, nel tempo, ciascuna delle
maggiori realtà economiche locali ha trovato un suo proprio canale informativo.
È giusto questo, oppure no? Potrei solo esprimere un’opinione in merito. Grazie
a questo intervento “bancario” il cittadino comune ha avuto la possibilità, a
fronte di ostracismi più o meno velati messi in atto da una parte
dell’informazione, di trovare accoglienza presso testate non ostili a una
visione critica degli eventi che, nel bene o nel male, accadono nel Vallo di
Diano.
Esiste poi un altro fenomeno.
Almeno due parti politiche, e mi riferisco ai poli maggiori del passato,
trovano e hanno trovato una stampella (chiaramente un eufemismo) nelle testate
locali. Anche qui nulla di male, sempre che il cittadino medio sia poi in grado
di leggere in chiaro dietro le sigle. Eppure, pensare che l’informazione locale
sia così banalmente polarizzata su due fronti è un errore. Esistono realtà
dinamiche dove, nonostante le influenze editoriali, le notizie scomode riescono
ancora a venire a galla. E, per fortuna, esistono professionisti
dell’informazione che riescono a mantenersi al di fuori di meschini giochi di
potere e lontani dalle eminenze grigie che hanno semplicemente retto il moccolo
mentre un’intera classe dirigente portava avanti la sistematica devastazione
socio-economica della vallata.
Questa lunga premessa era
necessaria per introdurre il discorso sulla rappresentanza e sul tema
dell’esclusione del Vallo di Diano dai giochi che contano. Qualcuno, nel discutere
di ciò, si riferisce meramente ai fiumi di miele dorato che scorrono dal centro
alla periferia e che sfuggono all'ingordigia di alcuni amministratori locali;
altri, come nel caso di Sorrentino, pensano – giustamente - a tutte le
occasioni mancate per rilanciare il territorio a livello provinciale, regionale
e nazionale. E così, vorrei proporre una visione alquanto diversa,
concentrandomi, se possibile, sulla qualità politica della rappresentanza.
Infatti, in passato si è discusso
molto di questo fenomeno: l’eccessiva frammentazione rischia di lasciare il
territorio senza una rappresentanza politica a livelli più alti. Sull'opportunità
di questa discussione non c’è nulla da dire. Tuttavia, quando Sorrentino si
riferisce alle “lezioni del passato”, dimentica di citare protagonisti e
situazioni. E partiamo dall'esperienza più recente: le elezioni per il rinnovo
del Consiglio regionale del 2015. Su questa esperienza credo di avere titolo
alla parola, in quanto candidato per “Sinistra al Lavoro”, una formazione
embrionale che – almeno a livello regionale – vedeva la partecipazione di
movimenti, associazioni e forze politiche di sinistra a un progetto unitario di
difesa dei diritti, a cominciare dal diritto al lavoro. Esperienza non
riuscita, anche per una percepita disaffezione generalizzata nei confronti
della politica e per la presenza monopolizzante di due caravanserragli che
contavano decine di liste al proprio interno, con un’allegra pletora di
candidati, locali e non locali. Nessun rappresentante del M5S, che pure si
stava proponendo, a livello nazionale, come forza di opposizione. Le
ragioni di questa diserzione sarebbero tutte da indagare, ma non è questo il
luogo.
Proprio di recente, un noto esponente dell’informazione
locale, pur riconoscendo la validità delle battaglie portate avanti
in nome della dignità di cittadinanza degli abitanti del Vallo di Diano, ha addebitato anche a me la colpa della corsa alla candidatura, come se anch'io avessi
contribuito alla più che voluta confusione dei due caravanserragli.
Nulla di più falso. Se
l’unitarietà bisognava cercare, essa andava cercata all'interno dei due ammassi
globulari del potere politico imperante, lasciando fuori chi legittimamente
proponeva, coerentemente, una visione diversa della realtà e un approccio
diverso alla risoluzione dei tanti problemi che ancora oggi affliggono il
territorio. La candidatura avveniva in assenza di proposte locali da parte del
M5S, dato non trascurabile per molti aspetti, così come accennato sopra.
Nulla di più falso, poiché molte
candidature non erano frutto d’impegno, sulla base del quale si andava a
chiedere un consenso, ma mere speranze di messe di voti. E qui andrebbe fatta,
per non offendere l’intelligenza dei cittadini, una distinzione chiara tra voto
e consenso, ma non è questo il luogo.
Nulla di più falso, perché chi
era stato più volte sollecitato alla candidatura aveva più volte declinato
l’invito, indicando altre persone, ugualmente degne, a sostenere il
condivisibile progetto politico. Solo davanti al rifiuto di molti,
nell'imminenza della competizione elettorale, la stessa persona ha accettato un
sacrificio personale per dare la possibilità ai cittadini del Vallo di Diano di
avere un quadro di insieme della realtà e una visione futura diversi da quanto
prospettato (un verbo impropriamente usato) dai candidati locali dei due
caravanserragli. Ho parlato di sacrificio personale. Infatti, secondo l’ordinamento
tuttora vigente, avrei potuto chiedere e ottenere un congedo retribuito di un
mese per effettuare la campagna elettorale. Tuttavia, le lezioni del secondo
semestre erano giunte a un punto tale che affidare decine e decine di studenti
a un secondo valido docente mi sembrava un pegno troppo alto da far pagare a
dei giovani che con impegno si dedicano allo studio delle materie scientifiche.
Cosicché, ho svolto regolarmente le mie mansioni lavorative e la sera ho
dedicato il mio tempo residuo alle piazze (per lo più vuote), così come
documentato da Lorenzo Peluso in un suo articolo-testimonianza della campagna
elettorale del 2015. Ma perché le piazze? Perché l’agorà è
il luogo d’incontro democratico. Non la camarilla del potere o il filo del
telefono o la piazza virtuale. L’incontro vero (o anche lo scontro democratico,
se necessario) dovrebbe avvenire nelle piazze, quelle opportunamente evitate da
una parte politica (non troverebbero una piena spiegazione le campagne
elettorali invernali, altrimenti). Anche il cittadino disaffezionato ha
abbandonato la piazza, perché spinto a pensare che non esista più una valenza
politica del luogo e che l’informazione (cartacea, catodica, o telematica) sia
sufficiente a dissipare qualsiasi dubbio sulle ragioni dei candidati. Nulla di
più falso.
E qui s’innesta anche il discorso
di una sorta di black-out editoriale portato avanti da tutte le testate
giornalistiche locali durante la campagna elettorale. L’unico confronto tra la
pletora di candidati degli schieramenti dominanti e il sottoscritto è avvenuto,
molto in sordina, a Padula, per merito di alcuni giovani che – nonostante
l’encomiabile (neutra) iniziativa – hanno puntualmente disertato le piazze. Era
il 24 maggio 2015, una data tristemente evocativa.
Consapevole che questi lunghi e
noiosi scritti non possono trovare posto, anche per la riconosciuta scomoda
natura, nelle prime file delle notizie, ricoperte opportunamente dalle cronache
delle faide politiche locali, vorrei ugualmente dare un contributo di verità,
qualora questa possa ancora essere riconosciuta come tale. E vorrei, infine,
pensare che queste siano le vere lezioni del passato da imparare. Ossia, che si
riesca a distinguere nel futuro – nonostante gli imposti black-out editoriali –
chi fa dell’impegno sociale una bandiera e chi è alla ricerca di un’ennesima
comoda poltrona. Si possa comprendere che la politica non è solo interesse
locale, ma anche visione (seppure di parte) del passato, del presente e del
futuro. Anzi, proprio nel non dare diritto di parola alle minoranze – in nome
di una proclamata unità di intenti (quale?) – si rischia di far regredire il
territorio su posizioni ancora più arretrate (se possibile). Che l’unità vada
ricercata negli agglomerati politici omogenei, poi, deve essere un fatto da
ricordare, così come giustamente fa Sorrentino. Altrimenti si rischia di propugnare
un unanimismo che non esiste nemmeno tra i notabili politici (mi si perdoni
l’evidente incapacità di trovare forme linguistiche più idonee) del posto, così
come lo stesso Sorrentino ha dimostrato. Oppure, ancor più pericolosamente, si
rischia di affidare la rappresentanza politica di un intero comprensorio a uno
o più personaggi che, singolarmente presi, potrebbero a malapena rappresentare
se stessi in un’assemblea condominiale, seppure poco affollata.