L’ORA DEL SILENZIO
11 ottobre 2008
Scritto dedicato ai fari di luce che illuminano il nostro cammino in questa buia vallata
Viene anche un momento in cui è giusto tacere o parlare molto sottovoce, per non turbare le coscienze già scosse da tante annunciate difficoltà future. Il riferimento alla crisi economica in atto è scontato, naturalmente. Tuttavia, questa grave crisi mondiale approda nella nostra regione dopo che un disastro ambientale di proporzioni non banali (e non ci riferiamo solo alla questione immondizia) ha già devastato le nostre campagne e dopo che gravissimi episodi di intolleranza e di delinquenza sociale, espressa a tutti i livelli, compreso quello politico-istituzionale, si sono manifestati in tutta la loro violenza. Questi eventi precedenti hanno purtroppo evidenziato un deficit socio-culturale, con influenze negative sulla qualità della vita del nostro Sud; alcuni opinionisti hanno perciò ripreso il famoso incitamento alla fuga da queste terre, già lanciato ai giovani da Eduardo De Filippo. Ed è da prevedere che gli effetti di questa congiuntura economica negativa saranno avvertiti, con una maggiore sofferenza, dai tessuti molli di una società ormai allo stremo, resi ancora più cedevoli da un’illegalità diffusa e ormai assurta a sistema.
Noi non possiamo rimproverarci nulla, tuttavia. Abbiamo fatto il nostro dovere quando c’era da urlare nei confronti dei palesi abusi contro il territorio (anche quando la vallata veniva avvolta da un silenzio profondo), quando si dovevano difendere i diritti delle classi sociali più svantaggiate e quando si doveva non tacere per dovere morale. Siamo stati in prima linea a denunciare i crimini ambientali e ad opporci agli scempi paesaggistici perpetrati, a volte, proprio dagli enti locali nella loro sconsiderata rincorsa al finanziamento pubblico che ammazza il territorio. Siamo stati al fianco dei cittadini quando c’era da protestare contro piccoli o grandi abusi di potere. A volte abbiamo ottenuto ottimi risultati, a volte abbiamo dovuto continuare a lottare. A volte abbiamo dovuto purtroppo assistere ad episodi di giustizia negata, come in quell’episodio di Sassano, dove nelle case di centinaia di famiglie è stata distribuita per un decennio acqua sporca e maleodorante, venduta a prezzo pieno, al posto dell’acqua potabile; le famiglie hanno adito la magistratura, ma ad un processo civile iniziato nel 2003, conclusosi poi nel giugno del 2007, ancora non è stato dato un verdetto. Nel mentre chi ha voluto pervicacemente esigere le somme (ingiuste, dal nostro punto di vista) lo ha fatto anche con decreti ingiuntivi. Ormai la sentenza, qualunque essa sarà, arriverà troppo tardi, perché chi distribuiva il fango è stato già pagato profumatamente. Qui riconosciamo una nostra sconfitta; e ci domandiamo se non sia questa una vittoria da ascrivere ai meriti del “sistema”. A volte ci siamo confrontati con l’inerzia della pubblica amministrazione per fare chiarezza su questioni di interesse pubblico. A volte abbiamo dovuto denunciare pubblicamente carenze nei servizi al cittadino. E quando abbiamo fatto qualcosa di utile per qualcuno, ce ne siamo rallegrati, senza però mai esultare. Non abbiamo fatto, forse, tutto quello che c’era da fare, è vero (in questo “mare magnum” di piccole e grandi illegalità sarebbe impossibile!), ma la nostra umile partita l’abbiamo giocata. E vorrei qui anche ricordare la pubblica denuncia della strage delle rondini uccise dai veleni selvaggi. Per quelle rondini ancora aspettiamo che la magistratura faccia quanto ad essa compete.
Le cose da fare, tuttavia, sono ancora tante. La prima, è far comprendere che la cultura della legalità alla lunga premia il cittadino e la collettività; che fare i furbi non è un modo civile di vivere; che abusare dei propri poteri è un atto delinquenziale gravissimo, soprattutto in contesti dove il cittadino ha bisogno di essere guidato nel difficile cammino dello sviluppo della persona in tutte le sue funzioni ed espressioni sociali; che pensare solo agli affari propri e dei propri amici è una mentalità mafiosa da sradicare; che non denunciare le malefatte di chicchessia è un atto socialmente grave, soprattutto quando questo “chicchessia” occupa posti di rilievo sociale; che arricchirsi alle spalle della collettività, gestendo servizi pubblici, è un peccato sociale che grida vendetta. E forse l’elenco non è ancora completo.
Per il momento, però, taceremo, perché è giusto che sia così. In silenzio, tuttavia, continueremo a seguire il sentiero tracciato da quei pochi fari di luce che ancora irrompono splendidi nella nostra buia vallata e continueremo ad aiutare le persone che subiscono ingiustizie. Sì, perché ancora c’è qualcuno che continua a pensare che il profitto sia l’unico serio impegno di un uomo, a credere che il possesso di danaro e di beni sia l’unica e sola vera aspirazione di tutti, a ritenere che il servizio alla collettività sia un potere che gli viene conferito una volta e per sempre, di cui può disporre a suo piacimento da una posizione privilegiata di comando.
Continueremo a portare avanti le nostre idee, perché la cultura della legalità, la libertà di pensiero e di parola, la democrazia partecipata, la solidarietà per le fasce sociali più svantaggiate, lo sviluppo eco-sostenibile e la crescita sociale e culturale possano ancora essere parole pronunciabili in questa terra dimenticata, illuminata a volte da squarci di splendida luce, ma ancora terribilmente succuba del pervasivo e opprimente “sistema”.
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