In
questi giorni di riflessione sul "passaggio", religioso o laico che sia, ci
chiediamo se siamo tornati a celebrare riti arcaici, nei quali si sacrificavano
esseri umani per soddisfare i voleri (o i capricci) di divinità adorate da
comunità primitive. Siamo giunti a questo, oppure siamo ancora capaci di
immaginare un assetto sociale che vada oltre il volere dei fantomatici "mercati" che tutto muovono e tutto regolano?
La sede della BCE a Francoforte |
La
diatriba sull’articolo 18 è solo un esempio dei tanti paradossi che la politica
italiana sta elaborando. In effetti, si comprende come questo “passaggio”
parlamentare sia di fondamentale importanza per chiedere altri sacrifici (forse
anche umani) alla Nazione: l’obiettivo è di giungere alla licenziabilità di
centinaia di migliaia di persone, così come è accaduto in Grecia. In questo
modo, i “mercati” saranno soddisfatti del “sacrificio” e il resto del Paese
riuscirà a sopravvivere (e questa sarà, probabilmente, la litania che ci verrà
propinata a rete unificate). E chissà per quanto tempo, dopo l'operazione draconiana, la Nazione
sopravviverà al disastro sociale procurato da questo paradossale modo di
intendere l’azione politica. Intanto, il sacrificio attuale di milioni di
persone, tra nuovi poveri e disoccupati, non sembra essere sufficiente a
sfamare l’ingordigia dei “nuovi ricchi”. Se crediamo che in tempi non molto
lunghi vi è conservazione della massa monetaria, bisognerà dire che, se da una
parte si crea povertà, da qualche altra si crea ricchezza. E quindi, sarebbe opportuno
scovare questa ricchezza. Innanzitutto, sarebbe opportuno evitare la
concentrazione di cariche e incarichi pubblici; da subito. Sarebbe utile, poi,
stabilire un tetto alquanto basso alle retribuzioni da pubblico impiego, in
quanto lo Stato – per primo - non può alimentare le diseguaglianze sociali.
Sarebbe poi giusto stabilire regole che impediscano una così grande disparità tra
la paga di un operaio e quella di un cosiddetto “manager” di una qualsiasi
impresa. Per una volta si potrebbe incominciare dall’alto, toccando i papaveri
e lasciando in pace le papere.
Senza
alcun ardore ideologico, si potrebbe istituire un reddito minimo garantito per
tutti coloro i quali non riescono a trovare impiego: ognuno di noi ha infatti bisogno
di un posto dignitoso dove vivere, di cibo a sufficienza e di un lavoro. E su
quest’ultimo punto si esprime persino la Costituzione, quando afferma che l’Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro, anche se le forme di partecipazione democratica si stanno
affievolendo sempre di più e il lavoro sta scomparendo a poco a poco. Le
risorse per rendere la vita meno grama alle fasce più deboli della nostra
società potranno essere prese dai grandi patrimoni, con buona pace dell’onesto
(ehm!) accumulo di danaro nel corso degli anni.
I cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). |
La
lotta alla criminilità organizzata dovrebbe poi essere un imperativo categorico
per il nuovo corso politico e sociale. Uno Stato che non saprebbe vincere la
guerra contro la malavita, ormai fermamente radicata in tutto il territorio
nazionale, non dovrebbe essere degno di chiamarsi tale. In alcune regioni,
infatti, si assiste all’assurda inversione dei ruoli, dove lo Stato viene visto
come vessatorio e il malavitoso come un salvatore del cittadino vessato. La
criminilità, nelle sue floride attività illegali, riesce così ad attirare
consenso sociale, anche attraverso l’elargizione di posti di lavoro, mentre lo
Stato arretra sul fronte dei diritti costituzionalmente garantiti, come il
diritto alla salute. Per fare solo un esempio, non si dovrebbe lasciar morire –
dopo sei ore di attesa - una persona in un pronto soccorso, così come purtroppo
è anche accaduto. Questa strana rappresentazione dell’assetto sociale è, a
volte, alimentata proprio da una classe dirigente poco osservante delle leggi e
molto attenta al proprio tornaconto. Per questo, nel corso degli anni, si è
assistito alla corsa alla poltrona, non tanto per mettersi al servizio della
collettività, quanto per aggiustare affari propri o quelli di amici e parenti.
E questo non è successo solo in politica. Un sistema che si è retto su questi schemi non ha
saputo affrontare la pressante richiesta di innovazione di un mondo che
avanzava speditamente verso traguardi scientifici e tecnologici sempre più
spinti. E laddove ha cercato di reggere il passo con la modernità, ha
abbandonato la propria identità culturale, facendo di luoghi e terre
incontaminati un ammasso di cemento e di brutture di ogni tipo e trasformando le
tradizioni socio-economiche del posto in un cumulo di cenere. Lo strapotere
della criminalità organizzata, inoltre, si è chiaramente manifestata agli Italiani
allorquando un ministro della Repubblica ha voluto affermare che con la
malavita bisognava convivere. Un’infelice concetto che rende bene, tuttavia, la
forza dell’economia mafiosa nel nostro Paese.
Per
giunta, oggi si vive in una sorta di stato di guerra dettato dai potentati
economici che hanno preso di mira, sembrerebbe, il benessere dei cittadini
comuni. Da qualche parte, poi, si sente parlare di crisi come opportunità. Se
questo è vero, l’opportunità risiede nel fatto che alcuni stanno approfittando
della crisi per accumulare sempre più ricchezze, così come i rilevamenti
statistici sui flussi monetari ci fanno intuire. Le grandi imprese di
distribuzione di servizi essenziali, infatti, non conoscono crisi e sono sempre
pronte a far quadrare i conti con aumenti delle tariffe, a volte non ben
giustificati. E in questa guerra economica si innesta una nuova lotta di
classe: quella della casta privilegiata contro quella che una volta si
indentifivava con la classe operaia. Nella visione marxista la classe operaia
avrebbe preso il sopravvento sulla borghesia dominante proprio perché demograficamente
più rilevante. In questo mondo alla rovescia, la casta sta prendendo il
sopravvento sulla classe media e sui ceti sociali più deboli, proprio perché in
possesso delle leve del potere politico, economico e finanziario insieme e
proprio perché sembra abbia accettato, molto cinicamente, la "convivenza" con la
criminalità organizzata. Molti di noi stanno assecondando questo disegno in
modo più o meno consapevole. Cosicché, mentre la religione una volta poteva
essere pensata come un mezzo per sopire i rancori sociali, oggi i meccanismi
per poter controllare la rabbia, che la classe media e i ceti meno abbienti
stanno covando, sono di diversa natura. Si parta dal considerare che,
nell'attuale modello sociale, il livello di utilizzo dei beni prodotti è diventato
talmente elevato che gli scarti della società dei consumi (i rifiuti)
costituiscono oggi un vero e proprio problema dal punto di vista ambientale. Alcuni
sostengono che abbiamo creato un mostro: una società che si regge sul consumo e
sulla crescita, ossia sulla realizzazione di un prodotto interno lordo sempre
maggiore. Ed ecco il nuovo oppio: il cittadino diventa un consumatore pacifico
se nel suo paniere riesce a inserire, acquistandoli, un numero di beni
sufficiente alla propria soddisfazione. Pertanto, il telefono cellulare (per
fare un esempio banale) diventa, a ragione, un oggetto essenziale; il grado di
sofisticazione tecnologica (e quindi il prezzo) dello strumento, tuttavia,
diviene uno "status symbol", così come è avvenuto per l’automobile. Pur
tuttavia, un modello di società siffatto non è "sostenibile", ovvero non
permette la sopravvivenza del modello stesso se non per un numero di anni
esiguo sulla scala del secolo, diciamo. In questo modo, dobbiamo trovare nuovi
modelli e nuovi paradigmi al di fuori degli schemi che potrebbero portarci al collasso sociale e al disastro ecologico. E qui dovrebbe
intervenire la politica che, al momento, altro non sa fare che assecondare la
sconfitta delle classi sociali più deboli a favore della casta.
I
modelli di sviluppo proponibili non
possono che essere ispirati alla sostenibilità del futuro di "Gaia", ossia
dell’ecosistema nel suo insieme, e a una maggiore sostenibilità sociale,
costituita da un progressivo livellamento del grado di benessere dei cittadini.
Per venire incontro alle richieste di sostenibilità ambientale, si dovrà
passare dall’era del petrolio, inquinante e concentrato nelle mani di pochi, a quella completamente decarbonizzata e democratica dell’idrogeno, così come
previsto da Jeremy Rifkin [1]. Questo stesso passaggio semplificherà il ruolo
del politico nel trovare le giuste leve per armonizzare i livelli di reddito e
di godimento dei benefici materiali che la "generazione distribuita" di energia
pulita produrrà. La comunità umana scoprirà, dopo l’abbandono dell’era del
petrolio, che lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della Terra costituisce
un atto eticamente scorretto. Per addivenire a questo "passaggio" c’è bisogno di
una profonda trasformazione culturale e scientifica. Molti stanno lavorando per
rendere possibili questi eventi nel futuro, mentre dubitano che gli attuali
politici possano essere preparati a guidare, in modo socialmente accettabile,
questi "passaggi" cruciali. Per il momento la casta sta semplicemente chiedendo
vittime sacrificali da immolare sull’altare del mercato, facendo credere a
tutti che "il mondo sta cambiando". Parlano, tuttavia, di un mondo vecchio,
senza comprendere affatto l’unico scenario futuro possibile per l’astronave
Terra. Sono cariatidi imbalsamate che vorrebbero fermare il tempo, per
continuare a godere dei loro privilegi. Sono cariatidi cieche, infine, perché
non comprendono che il vecchio modello economico e finanziario non regge più;
dovremo cercare nuovi approdi socio-economici e formulare nuove proposte politiche per poter risolvere, in modo
definitivo, i nodi congiunturali che questa classe dirigente ha creato. La strada sarà lunga e sarà bene cominciare da subito questo cammino.
[1] J.
Rifkin, Economia all’idrogeno, Arnoldo Mondadori Editore (2002).
Condivido a pieno! Forse per liberarci di loro dovremmo prima liberarci da quell'illusione che abbiam bisogno della loro energia, del trasporto del cibo x migliaia di km, delle loro medicine .... e come? Semplicemente uscendo "a riveder le stelle", l'Acqua il Sole le piante sono a portata di mano Madre Natura ci ha dato tutto; perché scavare miniere e pozzi, coltivare ettari di terreno per un solo tipo di alimento sterminandone altri altrettanto buoni e nati spontaneamente, perché ingozzarci per stare male quando possiamo star meglio lavorando di meno e mangiando meno e meglio? E' normale che un padre di famiglia sia disposto a incatenarsi per lavorare in condizioni di schiavitù se gli fanno credere di non avere alternative. Eh sì la strada per il ritorno dell'uomo ad esser parte di un eco-logico-sistema e non più di un economico-sistema è lunga ma possibile!!!
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