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Sala Consilina (17-12-2016).
Pubblicazione autorizzata
dall'autore. |
Solo qualche anno fa, a ridosso
della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale del 2009,
veniva istituito, a Sala Consilina, un “Centro Commerciale Naturale” .
Uno studio nel 2006, una presentazione in pompa magna nello stesso anno, poi la
costituzione di un consorzio agli inizi del 2010. Oggi il centro di Sala
Consilina, pur discretamente addobbato con luci natalizie, grazie a
finanziamenti in parte erogati dal Comune, in parte dalla Camera di Commercio ,
ha l’aspetto di un villaggio del Far West visitato dai banditi che sembrano
aver consigliato alle famiglie di restare chiuse in casa. Si fa l’esempio di
Sala Consilina, ma la stessa osservazione potrebbe essere valida anche per
altri centri del Vallo di Diano.
Questo incipit è solo per
illustrare il difficile momento che le attività commerciali tradizionali del
posto stanno attraversando. Questa premessa dovrebbe inoltre servire per affrontare
il non facile tema del fenomeno della crescente attenzione, da parte del
consumatore medio, verso la cosiddetta “grande distribuzione” e le attività
commerciali concentrate in aree dedicate.
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Sala Consilina (17-12-2016). Pubblicazione autorizzata dall'autore. |
Notiamo che oggigiorno è alquanto
difficile, per le famiglie del posto, prescindere dall'acquisto di beni di
consumo presso i punti di presenza della grande distribuzione.
Questo perché lo stile di vita delle persone si è andato man mano adeguando ai
ritmi frenetici di una società industrializzata, anche se questo stadio
produttivo non è mai stato veramente raggiunto (non si sa se per fortuna o per
sfortuna) nel Vallo di Diano.
E allora chiediamoci come
dovrebbe interfacciarsi un consumatore consapevole con il mondo della grande
distribuzione e come quest’ultima realtà dovrebbe tenere in conto le capacità
produttive locali. Infine chiediamoci quale potrebbe essere il futuro delle
attività commerciali tradizionali. Queste domande resteranno per lo più senza
risposta alcuna, nonostante l’esperienza maturata negli ultimi anni in ambito
consumeristico, con qualche pubblicazione all'attivo anche in ambito
scientifico [3]. Intanto, queste stesse
domande saranno utili per incominciare a comprendere più a fondo il fenomeno
dello spostamento dell’interesse del consumatore dal commercio “diffuso” a
quello “concentrato”.
Partiamo allora dal considerare
che un consumatore medio apprende dell’esistenza di una gamma sterminata di
prodotti attraverso la pubblicità su radio, televisioni, cartelloni sempre più
obbrobriosi e invadenti, su manifesti e volantini. Dal punto di vista del
consumatore, se questa semi-infinita offerta è concentrata in un luogo
circoscritto, il tempo che lo stesso dovrà dedicare agli acquisti è minore di
quello che s’impiegherebbe per comprare gli stessi beni di consumo in luoghi
diversi. E questo non soltanto perché ci vuole del tempo per percorrere una
data distanza, giacché potrebbero entrare in gioco variabili impreviste, quali
– ad esempio – una coda in macchina o in un negozio. Pertanto, se dovessimo dar
credito al motto “il tempo è denaro”, potremmo ben comprendere l’atteggiamento
del consumatore medio nel prediligere, a volte anche a discapito della qualità,
l’acquisto di beni di consumo presso un grosso centro di distribuzione. Pur
tuttavia, è proprio la variabile tempo a giocare un ruolo importante in questo
fenomeno socio-economico, non tanto perché equivalente a una somma di denaro,
ma perché limitato da uno stile di vita che lascia poco spazio ad altre
attività, eccezion fatta per quella lavorativa. Questo potrebbe spiegare il
fenomeno della concentrazione dei momenti dedicati agli acquisti in determinati
giorni della settimana. E questo potrebbe darci un indizio del perché il
consumatore medio ami il carrello della spesa variegata, piuttosto che il
passare da un negozio minimamente più specializzato a un altro.
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Un momento della campagna elettorale del 2009. |
Partendo da questa considerazione
sul servizio fornito dai grandi centri di distribuzione, possiamo cercare di
comprendere come l’economica locale possa parare il duro contraccolpo della già
imperante globalizzazione. Inoltre, sarebbe interessante comprendere come possa
oggi intervenire la “politica”, che ormai sembra non avere più voce in capitolo
su questi fenomeni, per ridimensionare l’importazione forzata di beni di
consumo che potrebbero essere disponibili in loco, ossia, “a chilometro zero”.
Facciamo solo un esempio, che potrebbe ben calzare una tipica situazione del
nostro territorio. Ammettiamo che una famiglia di quattro persone vada a fare
la spesa in un supermercato una volta la settimana in media. Nel carrello della
spesa ritroviamo sia alcuni beni che non sono prodotti localmente, sia altri
che potrebbero essere acquistati presso rivendite locali, perché prodotti
localmente. Pur tuttavia, l’origine di questi secondi prodotti che ritroviamo
nel carrello non è locale. Un esempio su tutti: i prodotti
dell’agro-alimentare. S’innesta così un fenomeno duplice di depauperamento del
territorio: si mortifica la produzione locale e si favorisce l’importazione di
beni di consumo da territori lontani (a volte anche estremamente lontani), con
conseguente trasposizione di importanti risorse economiche che potrebbero
alleviare la perdurante crisi occupazionale delle nostre terre.
Un meccanismo di protezione delle
dinamiche produttive e occupazionali locali dovrebbe essere pensato da una
classe dirigente in grado di comprendere, innanzitutto, i fenomeni in atto e capace di trovare – nel non semplice quadro normativo attuale – una soluzione adatta a
calmierarne gli effetti. Nel 2009 avevamo pensato a un forte incremento delle
attività di cooperazione tra i vari produttori nel settore agro-alimentare locale
di qualità, in modo da creare un impatto concreto e duraturo sull'intero
mercato regionale. Sarebbe stato importante, ad esempio, concentrare sotto un
marchio di qualità, unico per tutto il territorio, le varie produzioni
agricole, con particolare riferimento alle tipicità locali. In questo modo, il
prodotto sarebbe stato riconoscibile su una scala più vasta di quella locale e
avrebbe goduto di strutture consortili di supporto che ne avrebbero curata la
commercializzazione, anche presso i centri della grande distribuzione.

Infine, per quanto riguarda le
misure protettive delle attività commerciali tradizionali, bisognerebbe
attivare studi simili a quello effettuato nel 2006 che, visti i risultati
ottenuti, può essere oggi considerato un mero esercizio accademico. Le
soluzioni andrebbero cercate da amministratori competenti, da urbanisti ed
economisti, insieme ai rappresentanti di categoria che, con riferimento alle
vere vocazioni del territorio, abbiano fornito prova, nel tempo, di azioni
coerenti. Naturalmente, non dovrebbe essere considerato utile l’apporto di chi,
in dispregio dell’assetto socio-economico del territorio, avesse tentato
avventure commerciali che oggi rischiano di mettere in ginocchio le residue
attività locali. Anche le associazioni consumeristiche dovrebbero fare la loro
parte, cercando di rendere sempre più consapevole il cittadino sul consumo di
beni e prodotti e cercando, per quanto possibile, di convincere i responsabili
dei punti di presenza locale della grande distribuzione di venire incontro alle
legittime esigenze di sostenibilità ambientale e di rispetto delle attività
produttive locali. Per prima cosa, per quanto riguarda l’associazione
rappresentata dal sottoscritto, sarà suggerito, subito dopo questo breve
scritto, l’apertura di un angolo dedicato ai prodotti locali certificati in
ogni punto di vendita. In secondo luogo, sarà proposta la vendita di prodotti
sfusi o con imballaggio a basso impatto ambientale in alternativa ai prodotti
con involucri di plastica. Sarà un cammino lento e difficile verso la ripresa
delle prerogative sociali ed economiche che una volta erano del Vallo di Diano.
Questo percorso dovrà essere affrontato con estrema umiltà e con spiccato senso
di responsabilità. Non ci sono scorciatoie, purtroppo; cosicché, prima s’inizia
a mettersi in cammino, prima arriveremo all'agognata meta di un futuro sostenibile per la vallata.
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