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sabato 28 settembre 2013

Museo Alfredo De Marsico

Ho il piacere di pubblicare, con il consenso dell’autore, questo scritto sul mio blog personale. Penso che questo territorio avrà ancora una speranza, fintanto che ci saranno giovani dedicati al bene comune. Sposo in pieno l’idea di dedicare un museo cittadino alle attività del giurista De Marsico, affinché l’opera del nostro conterraneo e quella di altri validi giuristi non vada dispersa, ma resti a disposizione delle future generazioni come patrimonio culturale locale. 

Segnalo la biografia del giurista curata da Giuseppe D'Amico (edizioni "Laveglia & Carlone"). In una recensione di Paolo De Luca al libro si legge "De Marsico, ex dirigente fascista fu epurato dall'università di Roma. Per sette anni rimase lontano dagli ambienti accademici. La totale riammissione, solo nel 1950, fu grazie anche all' appoggio di Mario Berlinguer, padre di Enrico". Altri tempi e, soprattutto, altre tempre...



Museo Alfredo De Marsico "di Sala Consilina"
Sala Consilina, 08/09/2013
Avv. p. Nicola Colucci 
Alfredo De Marsico (da Wikipedia)
Quando si ha a che fare con le parole una cosa sola importa: chi comanda, chi è il padrone. Esse sembrano non avere peso e consistenza, sembrano entità volatili, ma sono in realtà meccanismi complessi e potenti, il cui uso genera effetti e implica (dovrebbe implicare) responsabilità. Proprio perché le parole creano la realtà,  fanno e disfano le cose, è importante avere lucida consapevolezza dei sistemi che ne determinano il funzionamento, delle ragioni che ne producono il medesimo. Ciò che ha destabilizzato lo scafo della Giustizia a Sala Consilina come in tutto il Vallo del Diano è la lingua del potere, lingua pericolosa, a volte raggelante, a volte impermeabile all'interrogazione di settantamila abitanti usurpati della tutela del proprio territorio da un fenomeno politico lento, progressivo in modo patologico, mal ricorrente. La situazione patologica attuale comporta la necessità di ribadire con argomenti - e con forza - ciò che dovrebbe essere ovvio e scontato (cioè, che i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge, e che non si possono approvare norme finalizzate unicamente alla tutela di un solo individuo o meglio di un solo territorio). Pertanto, nella remota possibilità che il Tribunale della Città di Sala Consilina dovesse chiudere in modo definitivo, dal giorno 13 settembre 2013, si rende noto al lettore del Vallo di Diano che sarà proposta la nascita di un nuovo Museo a Sala Consilina, quello di Alfredo De Marsico, Giurista, avvocato e politico italiano (nato a Sala Consilina nel 1888 e morto a Napoli nel 1985). Professore di diritto e procedura penale dal 1927, nelle università di Bari, Bologna, Napoli e Roma, diresse con G. Delitala la “Rivista di diritto e procedura penale”. Nel 1929 è stato relatore per la riforma del codice penale alla Camera dei deputati. Tra le sue opere ricordiamo: “La rappresentanza nel diritto processuale penale” (1915); “Coscienza e volontà nella nozione di dolo” (1930); “Studî di diritto penale” (1930); “Diritto penale, parte generale” (1936); “Lezioni di diritto processuale penale” (1937); “I delitti contro la personalità dello Stato” (1937); “Delitti contro il patrimonio” (1951); “Nuovi studî di diritto penale” (1951).  De Marsico fu eletto deputato alla Camera per la prima volta nel 1924 tra le file del Listone Mussolini, varò una legge sulla riforma del Codice Penale e collaborò alla stesura del Codice Rocco. 

La struttura di Lagonegro (PZ) che oggi ospita gli uffici
di una parte del Tribunale di Sala Consilina.
Fu rieletto alla Camera nel 1929, e confermato nel 1934. Nel 1939 divenne consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Dal 1925 al 1942 fece parte della commissione parlamentare per la riforma dei codici mentre il 6 febbraio 1943, entrò nel Governo Mussolini in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia, subentrando in tale carica a Dino Grandi. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio del 1943 votò in favore della mozione Grandi che determinò l'arresto di Benito Mussolini. Condannato a morte, in contumacia nel Processo di Verona del 1944, durante gli ultimi mesi di guerra risiedette a Salerno, ormai liberata dalle truppe anglo-americane.

Noi tutti non stiamo solo regalando a terzi  la nostra tutela territoriale, o la casa di Alfredo De Marsico,  ma stiamo cedendo anche un ampio patrimonio tecnico-informatico, poiché Sala Consilina è stato il primo Tribunale della Nazione Italiana a dotarsi del Processo Telematico. L'archivio del Tribunale, inoltre, è fornito di strumenti robotizzati di cospicuo valore economico. Dal punto di vista strettamente culturale, possiamo infine affermare che nell'archivio bunker si preservano antichi scritti giuridici, codici ottocenteschi,  antiche sentenze del primo decennio del novecento epigrafate a mano (in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele Terzo Re d'Italia), ed a continuare. Patrimonio culturale frutto di sacrificio costante dei Giuristi Avvocati, del personale custode delle Cancellerie che si sono susseguiti negli anni ed hanno continuato a preservare questa ricchezza, affinché si potesse tramandare, dall’Unità d’Italia fino ai giorni nostri, l'importanza che la nostra comunità ha rivestito negli ultimi secoli.
Un momento di protesta degli avvocati nei
giorni immediatamente precedenti alla data
del 13 settembre 2013.
Eppure, si intravede un problema legato al dibattito che riguarda la cultura e il patrimonio culturale del nostro territorio: l’ostinazione a parlarne solo in termini economici. Questa  ovvietà  non ci promette scenari a lieto fine, ma ci dà, quantomeno, un’idea dello stallo in cui si trova la lotta che si combatte in nome della cultura e della tutela del territorio Salese e Valdianese. Possiamo quindi parlare di una prima vera crisi locale dei beni collettivi che investe, oggi, anche la Giustizia; e ciò non è vero solo nel nostro territorio. Per orgoglio, prestigio ed economia, il nostro Tribunale significa tutela, sviluppo e fiducia. E vorrei, a tal proposito, ricordare l'articolo 3 della Costituzione che, al comma 2, affida alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Rimuovere cioè gli ostacoli che impediscono l'esercizio della scelta. Compito della Repubblica è dunque creare le condizioni perché tutti possano scegliere liberamente, ricordando - seppur ovviamente - che la facoltà di scelta si nutre della libertà, anzi delle libertà, intese in una accezione profonda, solidale, empatica. Libertà dal bisogno, libertà dal sopruso dei criminali e dalla sopraffazione dei pubblici poteri, libertà dallo sfruttamento (di cui questi anni ci offrono l'emblema perfetto nelle cosiddette democrazie avanzate come la nostra), libertà dall'ignoranza, libertà da chi crede di sapere e di conoscere quando – forse - non è così.

Ciò in cui spero o meglio speriamo - lo evidenzio forse anche con quanto scritto? – è in “una scappatoia”, che sia da contenimento alle perdite di ciò che oggi è nostro e che ci ancori alla speranza che, un giorno, tutto quanto ci sarà tolto ritornerà ancora nostro!


mercoledì 4 settembre 2013

Profumo e polvere di terra

Commento al libro “Profumo e polvere di terra” 
di Lorenzo Peluso, edito da Il Melograno (maggio 2103).

Il recente lavoro di Peluso, “Profumo e polvere di terra”, trova la sua essenza, secondo il parere di chi scrive, nel penultimo e nell'ultimo capitolo, intitolati, rispettivamente, “Quale futuro” e “Il coraggio e le speranze di Antonio”. Sebbene l’autore non manchi di fornire una prova di profonda conoscenza del territorio del Vallo di Diano nella sapiente costruzione dei primi capitoli, ricchi di cenni storici e di dati, è proprio nella parte finale del tomo che il lettore ritrova esplicita l’ intenzione celebrativa del mondo contadino. Il rispetto e - oserei dire - l’amore per la “cultura contadina” danno a questo libro un sapore letterario unico, che si apprezza particolarmente se si è potuto conoscere, anche solo di riflesso, quel mondo fatto di sincera solidarietà nei confronti del prossimo e di profondo rispetto per l’ambiente.     
L'autore del libro "Profumo e polvere di terra", Lorenzo Peluso

Nel penultimo capitolo l’autore cerca di individuare una possibile via di uscita dal difficile momento che il Vallo di Diano sta attraversando. La vallata, la cui vocazione agricola e turistica è indiscutibile, ha solo da qualche decennio abbandonato le tradizioni agro-pastorali che rappresentavano salde fondamenta di una società prospera e coesa. L’assetto geo-morfologico del Vallo di Diano ha costituito, per molti versi, una barriera protettiva nei confronti di contesti sociali più avanzati e influenti della nostra Penisola. Un’oasi felice, forse, ma pur sempre un’oasi; come se i monti perimetrali avessero voluto frenare l’inesorabile scorrere del tempo. Questa improbabile impresa è divenuta impossibile, tuttavia, quando i nuovi stili di vita, veicolati da media sempre più pervasivi, hanno imposto nuovi modelli sociali ai nostri nonni e ai nostri genitori. Il tutto è bene evidenziato nella parte introduttiva del libro. L’autore, fa suo il disorientamento degli abitanti della vallata che, avendo dedicato l’intera esistenza al lavoro dei campi o alla pastorizia, vedono superati quei modelli produttivi e quell'impostazione sociale da un consumismo sfrenato che conoscerà l’acme negli anni ’80 e ‘90, prima dell’attuale crisi economica. Peluso fa un’analisi dettagliata e veritiera della comunità contadina dell’immediato dopoguerra, a tratti rendendo meno grave il racconto della vita dei campi con qualche nota nostalgicamente bucolica. L’aspetto più importante, per chi scrive questo commento, tuttavia, è da individuare nel fatto che, in questo capitolo, l’autore ha saputo evidenziare la necessità di un forte senso di “comunità” nella società di un tempo. Il singolo operatore agricolo, infatti, con la sua sola famiglia, non era in grado, senza l’aiuto delle fattorie dell’”area”, di svolgere tutte quelle attività che andavano compiute in un lasso di tempo molto ridotto. Infatti, solo un apporto di un considerevole numero di braccia, prima della meccanizzazione, poteva rendere possibile un lavoro esteso nello spazio e nel tempo. La compartecipazione al destino altrui e la solidarietà tra simili erano quindi delle realtà di fatto. E questo, oltre all'armonia tra tempo libero e lavoro nell'alternanza delle stagioni, all'attitudine al risparmio e al rispetto per i beni ambientali, faceva parte del patrimonio culturale della nostra comune “civiltà contadina”. Nel saggio-racconto di Peluso, tutti questi tratti sono ben evidenziati.

Diviene quindi auspicabile una lettura attenta del libro non solo da parte di chi di agricoltura s’interessa, ma anche da parte dei giovani, ai quali, fondamentalmente, è dedicato l’ultimo capitolo: “Il coraggio e le speranze di Antonio”. Antonio è un giovane di Sanza, che - rimasto senza lavoro per ben due volte nell’arco di poco più di un decennio, a seguito dell’attuale crisi economica - decide, dopo vari tentativi di ricerca di nuova occupazione, di far rivivere l’ovile del nonno Sabino, che era stato un pastore. Antonio riesce nell'impresa, anche perché si lascia guidare dai ricordi che lo tengono legato alle attività che il nonno svolgeva in sua compagnia. Deve rinunciare, tuttavia, all'intensa vita sociale cui i nostri giovani sono oggi adusi. Peluso affronta questo racconto con l’ammirazione che ognuno di noi sente nei confronti di questo giovane che, con l’aiuto di sua madre, riesce a portare avanti un’impresa redditizia nello stesso modo in cui si faceva anni fa: capre al pascolo, cura per i tracciati e per l’ambiente circostante, lavoro intenso per 365 giorni l’anno. “Questo è un lavoro che ti assorbe; non ti permette gli svaghi. Qui i festivi non esistono”. É questo che Antonio racconta a Peluso. E qui s’innesta un discorso puramente politico, che dobbiamo fare come corollario a quanto egregiamente raccontato da Peluso. L’autore, infatti, auspica un ritorno all'agricoltura, come nel capitolo “Ritorno alla terra”, ma giustamente si astiene da facili ricette.

In questi anni alla parcellizzazione sempre più spinta della proprietà terriera non è seguita una politica sociale che potesse far superare una criticità essenziale: la mancanza di quei meccanismi di solidarietà che Peluso ci racconta nel suo tomo. Il lavoro nei campi è stato così concepito come avveniva prima della meccanizzazione. Forse si pensava che, finanziando ogni singola piccola impresa agricola, si potessero mantenere gli standard produttivi di una volta. Questo ha funzionato fintanto che i sussidi per le piccole imprese sono stati erogati, in modo più o meno cospicuo, a chi aveva fatto della vita dei campi la propria ragione di vita e voleva continuare a lavorare nello stesso modo in cui avevano fatto i propri genitori. Il documentato crollo del numero delle piccole attività agricole negli ultimi decenni, però, sta a indicare un progressivo abbandono del lavoro dei campi da parte delle giovani generazioni. In questa ottica di abbandono delle colture si innesta l’utilizzo dei terreni agricoli per fini diversi da quelli della produzione agro-alimentare: urbanizzazione di vaste aree per fini produttivi o abitativi; creazioni di aree industriali in siti di pregio ambientali (in almeno un caso i lavori sono stati affidati a una ditta di Casal di Principe); utilizzo di alcune aree, destinate alla coltivazione agricola, per smaltimento illecito dei rifiuti (così come documentato dall’inchiesta Chernobyl condotta dal dott. Donato Ceglie dell Procura di Santa Maria Capua Vetere). Un vero e proprio “sacco della vallata” portato avanti, in modo scientifico, sotto lo sguardo impotente di ogni cittadino che non appartenesse alla “casta locale”. Un sacco reso possibile dallo svilimento delle attività agro-pastorali locali: nessuna politica di cooperazione tra proprietari terrieri e operatori agricoli messa in atto; nessun rilancio dei prodotti su mercati locali (a filiera corta) o regionali; nessuna formazione per introdurre nuovi metodi produttivi tra le maestranze locali; infine, nessuna vera attenzione – se non a chiacchiere – verso i beni ambientali del nostro territorio.


Naturalmente, queste cose l’autore non avrebbe potuto dirle e, forse, non si sarebbero inserite bene nel saggio-racconto di Peluso, soprattutto in quell'egregio pezzo di letteratura locale costituito dall'ultimo capitolo. Il libro, quindi, resta un buon punto d’inizio per comprendere più a fondo la nostra realtà. Tra i pregi del lavoro vi è quello, si vuole ripetere, di non aver prescritto facili ricette per il “ritorno alla terra” auspicato. Questo sarà compito di una nuova classe dirigente che si formerà dall'implosione di una “casta” che si è insediata al potere locale da oltre un trentennio e che ha omesso di compiere tutti quegli atti che avrebbero permesso ad Antonio, oggi, di cooperare con altri giovani per il raggiungimento di obiettivi comuni. Quella frase sul sacrificio della vita dei campi avrebbe potuto, infatti, suonare in modo diverso: un lavoro come tanti altri, ugualmente redditizio ma più sano e pieno di soddisfazioni, che permette di godere in pieno di una vita sociale che, oggi, i mezzi tecnologici rendono sempre più varia e intensa. 

lunedì 12 agosto 2013

A TUTTI GLI EROI DI QUESTA VALLE

11 agosto 2013


Nel luglio del 1857 perdemmo una grande occasione. Un rivoluzionario, a capo di un manipolo di uomini, stava cercando di sovvertire il potere monarchico a favore di un'istituzione "repubblicana" da creare su base socialista, e - si badi bene - non di un'altra casa regnante, come si vorrebbe far credere. Infatti, la spedizione di Carlo Pisacane era in perfetta continuità con lo spirito del decreto fondamentale della Repubblica Romana del 1849.


Cippo commemorativo a Carlo PisacaneSul cippo sono incise diverse iscrizioni commemorative: di fronte: «1857 - 2 luglio - Nuovo decio - disfidante il fato - Carlo Pisacane - da queste glebe livide di strage - riuniva alla morte - né mai selvaggia tirannide - strappò all'avvenire della patria - un più eroico cuore». Agli altri lati del cippo: «4 settembre 1860 - il genio presago del duce - segnava col sangue della sua breve corte - il transito auspicato - cui la fortuna d'Italia - guidò vindice Giuseppe Garibaldi» e «4 settembre 1903 - Dalle tenebre dell'oblio - radiante si sublima e infutura la visione dell'indomito precursore. -Con lui è il cuore dei liberi cittadini che questo cippo commemorativo affidano- al culto dei posteri». Da Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Pisacane_(patriota)#cite_note-21).

Il Vallo di Diano divenne così teatro di scontri bellici e di una promessa di rivoluzione che - purtroppo - morì sul nascere. Siamo stati involontari artefici del fallimento di quella rivoluzione, che avrebbe, nelle intenzioni di Carlo Pisacane, riscattato la classe contadina da uno stato di grave indigenza materiale e di estrema arretratezza culturale. Quella classe elitaria che avrebbe dovuto appoggiare la rivoluzione non ha mai mosso un dito, cosicché quel tentativo di fare diventare il Vallo di Diano il territorio da cui sarebbe partita la prima rivoluzione italiana moderna è fallito. Pur tuttavia, oggi, l'Italia è una Repubblica, nonostante la non breve parentesi del Regno.

Sono trascorsi anni da quel luglio del 1857, quando la rivoluzione è stata malamente tradita. Dopo anni assistiamo alle stesse manovre di chi vorrebbe far credere che una persona che giunge da lontano per riscattare dal sottosviluppo l'intera classe contadina possa essere una minaccia per gli stessi popolani. Ma forse solo in questo modo si possono fomentare contro-rivolte in grado di espungere dal comprensorio qualsiasi tentativo di cambiamento.

Guardando al largo della costa cilentana non si intravedono più velieri e nemmeno barche a vapore, che non solcano più i mari da tempo. Raramente si vede una bandiera tricolore all'orizzonte. E, pur aspettando fino a sera, non arriva più il capitano "con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro". Eppure, non bisogna perdere le speranze, perché questa nostra terra ha conosciuto e generato eroi. A tutti questi eroi, vada un ringraziamento per quello che essi hanno fatto per i cittadini della " mia patria bella". Sia questo scritto un tributo a chi, affrontando il mare o le lotte in terra, si comporta o si è comportato da eroe.

giovedì 1 agosto 2013

UNA FAVOLA SENZA LIETO FINE


In questo "post" ho l'onore di riportare uno scritto della prof.ssa Rosa Maria Antonietta: una favola triste, una lettera scritta dai cani avvelenati ai cittadini di Sant'Arsenio. Una lettera da leggere fino in fondo con molta attenzione.

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Cari  cittadini di Sant’Arsenio,

vi vogliamo comunicare che vi hanno liberati della nostra presenza, uccidendoci, nascosti nel buio della notte, nei pressi del campo sportivo dove si sono presto preoccupati di scavare una grande fossa che coprisse i nostri corpi ed occultasse il reato commesso. Da anni vivevamo nel vostro paese perché i nostri padroni ci avevano abbandonati, credevamo di aver trovato ospitalità in un paese sensibile ed attento al rispetto della legalità, che proibisce qualsiasi crudeltà verso gli animali, punendola con multa e reclusione. Ci siamo uniti in gruppo perché gli uomini ci hanno insegnato che l’unione fa la forza, anche quella buona. Avevamo sentito che in questo paese si stava costruendo per noi, cani abbandonati e randagi, un canile che ci avrebbe accolti, sfamati e protetti, ne eravamo sicuri perché c’era stata una petizione con 200 firme di cittadini (che fine hanno fatto?). Nell'attesa che questa promessa si realizzasse abbiamo vissuto sfidando la pioggia, il gelo ed, essendo spesso bagnati, non abbiamo potuto pensare alla nostra toelettatura, come quella dei cani fortunati. Per questo motivo non abbiamo disturbato la vostra vita, non eravamo belli, uscivamo solo di notte, aspettando quegli “angeli” che ci portavano il cibo per sfamarci e, di “angeli”, ne abbiamo trovati parecchi. Quando li vedevamo eravamo felici, scodinzolavamo e facevamo le feste, solo così potevamo dire il nostro GRAZIE. 

Anche la sera del 10/07/2013 abbiamo  mangiato quei bocconi dati da qualcuno che sembrava un “angelo”, purtroppo la nostra fiducia è stata tradita, perché quelle mani ci hanno avvelenati, portandoci alla morte con dolori atroci. Prima di morire ci siamo uniti in gruppo, sperando di aiutarci a vicenda. Non è stato possibile. Il nostro capo, prima di morire, ci ha chiesto, con un filo di voce: ”Cosa avete fatto? Non avete rispettato le regole? Quali colpe avete commesso?”. Il più piccolo di noi ha risposto: ”Noi li abbiamo sempre rispettati, non abbiamo aggredito i loro bambini, non siamo entrati a rubare nelle loro case, né nei loro bar. Non abbiamo distrutto, entrando per 3 volte nel cimitero, le lapidi dei loro morti”. Billy ha aggiunto: ”Non abbiamo fatto amicizia con il capo della ndrangheta che, da qualche mese, si era rifugiato in questo paese, né gli abbiamo dato la nostra zampa, forse lui si è nascosto meglio di noi ed  ha avuto un’accoglienza alla luce del sole, migliore della nostra. Non abbiamo distrutto gli alberi della villa comunale, facendo sui tronchi la nostra pipì. Eppure qualche albero è stato decapitato senza un valido motivo. 

Con noi, per caso, era un cane da pastore che, prima di morire, ha pensato al suo padrone ed alle sue pecore che non avrebbe più potuto proteggere. Era venuto a salutarci e non sapeva che, anche per lui, quella sarebbe stata l’ultima cena. Non abbiamo più il tempo di porci domande a cui possiamo dare una sola risposta: su di noi si sperimentano farmaci e cosmetici ma, anche e soprattutto, si sperimenta la crudeltà. Pochi di noi si sono salvati ed oggi, agli altri cani, diciamo: “Attenti all'uomo, non fidatevi perché questo paese è pericoloso”.
Firmato
8 cani avvelenati immotivatamente


P.S.: quando ci hanno seppelliti, scavando la fossa, abbiamo incontrato nella buca le ossa di altri cani che avevano fatto, prima di noi, la stessa fine. Gli uomini dovrebbero ricordare, con terrore, un periodo della loro storia in cui c’erano fosse comuni. Insieme a quelle ossa (mandibole, femori), che sono riaffiorate, è venuta fuori quella verità che gli uomini volevano nascondere. Non era la prima volta che noi cani venivamo avvelenati, non era la prima volta che veniva commesso lo stesso reato. Vi lasciamo un territorio libero per i concerti ma, dopo aver suonato, cantato e ballato, ci auguriamo che abbiate anche meditato. Grazie a chi ha dato voce a chi non può parlare.

giovedì 25 luglio 2013

De profundis per il canile comprensoriale

Avevo già trattato questo argomento in un post precedente (Gli eroi e i randagi). Una storia iniziata nel 2003, come documentato nel post precedente e non nel 2010, come qualcuno cerca di affermare oggi.

Adesso si scoprono sulla rete altri interessanti dichiarazioni sul canile, come la seguente del 2009, nella quale il presidente della Comunità Montana prevedeva che entro l’anno successivo vi sarebbe stato il completamento dell’opera. Interessante davvero questa intervista: http://www.youtube.com/watch?v=go1mfePcoYE

Ancora ottimismo viene espresso dallo stesso presidente della Comunità Montana nel giugno del 2012.

Randagi d’oro Ma il canile comprensoriale è ancora al palo

http://lacittadisalerno.gelocal.it/cronaca/2012/06/22/news/randagi-d-oro-ma-il-canile-comprensoriale-e-ancora-al-palo-1.5305304

SALA CONSILINA. Si acuisce nel Diano il problema del randagismo. Interessati dal fenomeno sono tutti i comuni del comprensorio che per cercare di arginare il problema sono costretti a ricorrere attraverso l’Asl all’accalappiamento dei cani che vengono poi ricoverati presso canili convenzionati con un costo giornaliero di circa due euro per ciascun cane. Problemi che potrebbero essere risolti con l’apertura del canile comprensoriale in fase di realizzazione da parte della Comunità Montana Vallo di Diano in località Marroni nel Comune di Sala Consilina. La prima pietra del canile era stata posta a maggio del 2009. Il primo finanziamento ottenuto dalla Comunità Montana però non è stato sufficiente a completare la struttura.Mancano all’appello infatti 400mila euro. Il Presidente della Comunità Montana Raffaele Accetta si è dichiarato ottimista sui tempi per il completamento del canile anche perché sono al vaglio diverse soluzioni per poter ottenere i fondi necessari, o un investimento da parte dei Comuni oppure la richiesta di un mutuo.
22 giugno 2012

Più cauta, invece, l’intervista rilasciata dal Sindaco di Sala Consilina qualche mese fa.

Sala, chiesto l’aiuto dei privati per il canile

SALA CONSILINA. Sarà ultimato attraverso il project financing il canile comprensoriale del Vallo di Diano in fase di costruzione in località Marrone nei pressi dell'isola ecologica. La decisione di affidare ad un privato l'ultimazione dei lavori e la gestione del canile, è stata presa dal consiglio della comunità montana Vallo di Diano che ha accolto la proposta del sindaco di Sala Consilina Gaetano Ferrari.
«La mia proposta - ha spiegato il primo cittadino - è frutto di una attenta analisi dei costi e del risparmio che si potrà avere attraverso un canile comprensoriale. Nei prossimi giorni partirà il bando per il project financing dopodichè una volta conclusa questa fase credo che in un paio di mesi i potrà procedere all'affidamento dei lavori per il completamento della struttura». Per poter ultimare la struttura è necessario ancora un milione di euro nel frattempo però si potrebbe già far partire l'attività del canile attraverso la realizzazione dei box che consentirebbero di ospitare i cani randagi. «Nel bando - ha spiegato Ferrari - è previsto che chi avrà la gestione del canile dovrà prevedere un prezzo di favore per quei cani provenienti dai comuni che fanno parte della comunità montana Vallo di Diano, che saranno la metà, invece per il restante 50 per cento sarà l'affidatario a stabilire il prezzo e potrà ovviamente accettare anche cani provenienti da altri comuni esterni al Vallo di Diano». Attualmente la spesa annua per la gestione dei cani randagi, per il Comune di Sala Consilina è di circa 40mila euro.(e.c.)
19 gennaio 2013


Il “de profundis” per l’opera comprensoriale lo recita, infine, lo stesso presidente della Comunità Montana che, nel 2009, in piena campagna elettorale a Sala Consilina aveva posto la prima pietra del canile e rilasciato, pochi mesi dopo, l’entusiastica intervista di sopra, con tanto di sfondo di cantiere. 


19/07/2013 - Sala Consilina: La Comunità Montana cerca partners per il completamento del canile


"E’ evidente che il ritardato completamento dell’opera non dipende da una mancanza di volontà da parte di questa Amministrazione. L’auspicio - ha concluso il Presidente Accetta - è che gli operatori economici manifestino il loro interesse per il completamento dell’opera, di rilevante utilità non solo per il nostro comprensorio ma anche per i territori limitrofi."

Noi ci chiediamo quali saranno questi "partners" privati che vorranno investire in questo “business” di sicuro successo. E alla fine di tutto ciò, lasciamo al lettore le doverose conclusioni. 

mercoledì 24 luglio 2013

Strane distrazioni

Andiamo per gradi. Partiamo dall’intervista più recente sulla questione “Scalea”, comune in provincia di Cosenza, dove quasi tutti i componenti della giunta sono stati raggiunti da provvedimenti restrittivi emessi dal Gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro a conclusione dell’inchiesta “Plinius”. Il Fatto Quotidiano online del 21 luglio 2013, pubblica la seguente intervista al consigliere di minoranza Mauro Campilongo.


In questa intervista si parla di un “personaggio chiave” dell’inchiesta, il quale viene arrestato a Sant’Arsenio, così come riportato nella cronaca locale de La Città:


Qui, a Sant’Arsenio, è stato raggiunto dai carabinieri uno dei personaggi chiave dell’inchiesta della procura antimafia, il 45enne Pietro Valente, che da qualche mese si era trasferito nel piccolo centro del Vallo di Diano. L’accusa per tutte le persone raggiungere dai provvedimenti restrittivi è di essere legate alla cosca Valente-Stummo. Nel corso dell’operazione scattata all’alba di ieri c’è stato anche il sequestro di beni per 60 milioni di euro.

Qualche testata giornalistica locale parla di “stupore” da parte dei cittadini di Sant’Arsenio. In effetti, il “personaggio chiave” è conosciuto alla cronaca locale almeno dal 2005. Infatti, a essere meno distratti, si potrebbe leggere un resoconto dato dalla stessa testata La Città, reperibile a questo link:


Questo articolo riporta le condanne in secondo grado di alcuni “personaggi”, che potremmo definire – in questo caso - “chiavistello”, per restare in tema. In particolare, si dice in questo articolo: Secondo l’accusa il clan avrebbe commercializzato nel corso degli anni 700 chili di droga giunti in Italia da Albania, Romania, Olanda e Colombia. Un giro d’affari messo in piedi dal gruppo del Vallo di Diano che poteva contare su contatti con trafficanti dell’Est ed esponenti della criminalità campana e calabrese.

La ricorrenza di alcuni nomi farebbe pensare che lo “stupore” potrebbe, dopotutto, non essere così sincero. Ma ci sono altri addentellati che potrebbero giocare a sfavore del presunto “shock” della comunità locale, a leggere quest’altro articolo.

SALA CONSILINA: PATTEGGIAMENTO PER DUE


Articolo tratto da “La Città di Salerno” (23-10-2003)

Nell'aula bunker era stato deciso per il patteggiamento della pena relativamente a undici imputati del maxiprocesso per droga. Il Tribunale di Sala Consilina non ha invece ritenuto ammissibili tali istanze e si è pronunciato con sentenza favorevole solo per Pietro Gallo, difeso dall'avvocato Alarindo Cesareo, e per Ciro Capuano, difeso dagli avvocati Angelo Cerbone e Rinaldi. Le istanze per l'applicazione concordata della pena riguardavano Casella Dalmazio, Antonio Murno, Santo Azzolina, Felice Balsamo, Alfonso Abruzzese, Umberto Casillo, Giuseppe D'Agostino, Enrico Zupo, Pietro Valente. La prosecuzione ora è rimessa dinanzi al tribunale ordinario. Le richieste di patteggiamento allargato (fino a cinque anni di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria), non sono state accolte perché formulate in violazione della legge. Per una complessità di motivi, infatti, la questione di legittimità costituzionale sollevata risulterebbe infondata. Non sono state ritenute ammissibili neppure le nuove istanze di patteggiamento assentite dal pm di udienza, presentate da Casillo, Balsamo, Abruzzese, Murno e Zupo. Meglio è andata agli imputati Pietro Gallo, difeso dall'avvocato Cesareo, e Ciro Capuano, difeso dagli avvocati Angelo Cerbone e Rinaldi. Il Tribunale di Sala Consilina all'udienza del 20 ottobre scorso, ha disposto nei confronti di Ciro Capuano la pena di 3 anni e 8 mesi di reclusione e una multa di 14mila euro, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione oltre alla diminuente per la scelta del rito; nei confronti di Pietro Gallo la pena di 4 anni e 3 mesi di reclusione e 14mila euro di multa previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate e ritenuta la continuazione oltre alla diminuente per la scelta del rito. Inoltre la sentenza ha anche previsto a carico di ciascuno degli imputati le spese relative al procedimento e ha ordinato la confisca e la distruzione delle sostanze stupefacenti. Il processo dunque proseguirà davanti al tribunale ordinario per gli imputati nei confronti dei quali il patteggiamento è stato rigettato dal Tribunale di Sala, quindi per Casella Dalmazio, Antonio Murno, Santo Azzolina, Felice Balsamo, Alfonzo Abruzzese, Umberto Casillo, Giuseppe D'Agostino, Enrico Zupo e Pietro Valente.


E qui, l’articolo di Massimo Clausi del 17 luglio scorso, pubblicato su Il Quotidiano della Calabria, apre ulteriori scenari investigativi interessanti sulla vicenda “Scalea”.



Naturalmente, l’inchiesta “Plinius” è partita dalla Calabria. Pur tuttavia, come abbiamo avuto modo di notare, il nostro Vallo di Diano non può stupirsi per quello che è successo. Alcune cose – semplicemente - si sapevano da tempo. Capita, però, che a volte ci si distrae. E capita anche che ci si distrae proprio su questioni di importanza basilare per la vita sociale ed economica del nostro comprensorio. Speriamo, perciò, che questo “stupore” sia solo temporaneo e che presto si aprano gli occhi su quello che sta accadendo in questa vallata, anche e soprattutto perché potremmo rimanere, tra non molto, senza un Tribunale comprensoriale, seppure questa presenza abbia aiutato poco a far concentrare tutti noi su questioni altre dalle spensierate sagre e dalle celebrazioni dei potentati locali.

venerdì 19 luglio 2013

Centrali Elettriche

Scritto dedicato a Filomena e a tutti coloro i quali credono in un futuro migliore.

Commento all'articolo "Vallo di Diano, nei progetti di Terna due Centrali  Elettriche e un elettrodotto ad altissima tensione" reperibile sul sito di UNOTV al seguente indirizzo


Vorrei innanzitutto complimentarmi con l'autore Antonio Sica per la chiarezza di esposizione dei fatti e per aver anticipato un "disegno globale" ben preciso.

E sebbene nessuno sia profeta in patria proprio perché, a volte, le persone che si incontrano per strada vengono valutate per quello che appaiono e non per quello che sono o che - magari anche in sordina - fanno, vorrei ciononostante esprimere un mio personale parere sulla questione.

Concedetemi, innanzitutto, una breve premessa. In questi anni ho maturato un po' di esperienza, anche grazie al valido contributo di altri colleghi, sul tema delle energie alternative. L'ultima pubblicazione sull'argomento risale allo scorso aprile(http://iopscience.iop.org/0143-0807/34/3/763) e un'altra è in corso di valutazione da parte dell'editore. In quest'ultima parliamo di un "consumatore intelligente" ("smart consumer") che, a seconda del livello energetico della propria "riserva" e della propria produzione, effettuata attraverso un generatore ibrido (che sfrutta più fonti rinnovabili nel contempo), decide di attivare i propri elettrodomestici. Giustamente, la descrizione del consumatore intelligente potrebbe essere connotata o come utopica, o come puramente accademica. Eppure, se un'intera comunità scientifica si sta orientando verso lo studio della dinamica della produzione e del consumo di energia elettrica non solo del singolo "consumatore intelligente", ma di una rete di "prosumers" (produttori e consumatori, insieme) collegati tra loro da una "smart grid" (rete intelligente, appunto), allora questo non sarà solo per caso.

Un esempio di sistema ibrido solare-eolico.
Fatta questa premessa, allora, devo dire che da una parte c'è la cruda realtà descritta dall'attento giornalista Antonio Sica, dall'altra una visione del futuro che va nella direzione opposta a quella delineata dalle multinazionali. Stiamo vivendo un'epoca di transizione, dove la prossima rivoluzione industriale (così come descritta da Jeremy Rifkin nei suoi recenti saggi) sarà completamente impostata su un modello di produzione basato non più sui carburanti fossili, ma sulle varie fonti rinnovabili, quali l'energia solare, nelle sue più svariate forme, l'energia idroelettrica, l'energia eolica, l'energia derivante dal moto ondoso o dalle maree, l'energia geotermica, l'energia prodotta attraverso la combustione di biomasse. Di queste fonti rinnovabili, la più diffusa è quella solare. E qui vorrei aprire una parentesi.

Abbiamo sul nostro territorio un cultore di questo tipo di energia che, da ormai qualche anno, va diffondendo l'idea della possibilità di "catturare" la luce del sole per vari usi. In altri posti questa persona, che si indentifica col prof. Paolantonio Zozzaro, sarebbe stata avvicinata da imprenditori e finanziatori per mettere a frutto almeno un paio delle idee che il prof. Zozzaro stesso va disseminando. Idee che non provengono da mera speculazione, ma che trovano fondamento su principi fisici e calcoli rigorosi. Ma questo non accade, e non è difficile immaginare il perché. Una delle ragioni è che siamo ancora troppo legati alle fonti di energia tradizionali e poco propensi a pensare a un futuro senza il petrolio, anche se diciamo di credere nella "green economy".

La trappola delle luce solare: un sistema ottico
a doppia riflessione e un corpo assorbente.
Avendo avuto modo di partecipare alla prima e alla seconda conferenza europea sull'energia (EEC), mi sono reso conto che - nel futuro - l'era dei carburanti fossili sarà vista come una breve parentesi nella storia dell'umanità. Dalla scoperta del primo giacimento di petrolio in Pennsylvania nel 1859 all'avvento della "terza rivoluzione industriale", tutta fondata sulle energie rinnovabili, saranno trascorsi, guardando in retrospettiva dal quarto millennio, poco più di duecento anni. Per esempio, l'era dell'energia prodotta dalla combustione della legna, al confronto, avrà avuto una durata molto più lunga. Sarebbe quindi del tutto inutile e dannoso insistere, oggi, sull'utilizzo di vecchi schemi legati a metodi di produzione che appartengono all'era del petrolio. Infatti, quando si parla di reti di trasmissione ad alta e ad altissima tensione, si parla del passato. Nel futuro vi sarà una rete "intelligente", che adotterà metodi di distribuzione dell'energia simili a quelli utilizzati oggi per smistare l'informazione sulla rete INTERNET. E non ci saranno più mega-centrali.

Quindi, non solo i consumatori dovranno essere intelligenti, ma anche la rete di distribuzione dovrà essere dotata di un software speciale che consentirà il trasferimento dell'energia dove richiesta. Il ruolo degli attuali gestori, che oggi producono l'energia nelle centrali, sarà quello di gestire la rete e di consentire, a ogni nuovo "prosumer", di entrare in contatto con altri "prosumer". Questo futuro non è molto lontano, come non sarà lontano il tempo in cui gli enti comunali adotteranno auto elettriche, che si muovono senza far rumore e senza inquinare, per la mobilità all'interno dei centri cittadini. Queste automobili potranno  essere alimentate da una rete di energia prodotta da fonte fotovoltaica, ad esempio. Ma la vecchia classe dirigente fa finta che questo futuro non debba mai venire, mentre esso è letteralmente alle porte. Questo futuro non conviene però alle multinazionali, che oggi trovano conveniente, per l'alto prezzo dei carburanti, trivellare il sottosuolo fino a 6 chilometri di profondità. Il primo pozzo petrolifero, per confronto, fu trovato a meno di venti metri di profondità.

Calcoli per il sistema di trappola della luce
solare a doppia riflessione.
Quando intervenni nella manifestazione di Montesano Scalo, nei pressi della stazione elettrica che sta, giustamente, ingenerando preoccupazione nella cittadinanza locale, dissi che avremmo dovuto adottare una strategia, come territorio, per poter continuare a dire no a questo modello di sviluppo fasullo, tutto fondato sui carburanti fossili. Dopo poche settimane, un gruppo di persone di buona volontà (tra cui il sottoscritto) si fece promotore di un'iniziativa volta allo sfruttamento sostenibile della biomassa nel Vallo di Diano. Un progetto già pronto, elaborato da due giovani ingegneri, poteva essere adottato dalla Comunità Montana o da un insieme di comuni virtuosi. Si trattava di creare un'azienda che potesse ricavare il "pellet" dalla biomassa naturalmente prodotta nella vallata e sui monti circostanti, invece di lasciarla bruciare nei caldi mesi estivi. L'impianto sarebbe stato del tutto autosufficiente, in quanto un cogeneratore, che avrebbe prodotto calore ed energia elettrica, avrebbe utilizzato la biomassa poco pregiata per far funzionare l'intera struttura produttiva. Naturalmente, la proposta è ancora ferma al suo punto di partenza, mentre continuiamo a importare "pellet" dai paesi esteri, ingenerando - in questo modo - una doppia diseconomia: la materia prima locale non viene più venduta, mentre viene importato un prodotto simile dall'estero.

E adesso vi racconto brevemente come un ente pubblico potrebbe diventare "consumatore intelligente", in un senso un po' diverso da quello illustrato sopra. Un ente pubblico affronta, purtroppo, una spesa energetica annua cospicua: illuminazione pubblica, riscaldamento degli uffici e degli istituti scolastici, gestione idrica (laddove non abbia già ceduto la stessa), etc. Con le tariffe energetiche e i prezzi dei carburanti fossili attuali, tale spesa sta diventando insostenibile. Ecco che, con un investimento "ad hoc", che in effetti si finanzierebbe con i risparmi realizzati negli anni, si potrebbero acquistare  sistemi di produzione energetica (usufruendo, se previsto, di incentivi). In questo modo l'ente locale non solo darebbe un buon esempio ai cittadini, ma incomincerebbe a dire il vero "NO" alle centrali e alle stazioni elettriche, alle trivellazioni, all'inquinamento dell'aria e delle acque. Per fare ciò c'è bisogno di un cambio di rotta, di un nuovo modo di intendere la vita pubblica, di un sistema virtuoso di buona politica che pensi al futuro delle future generazioni e non al presente degli amici e degli amici degli amici. Un nuovo sistema non fondato sull'omertà e sulla sfiducia, ma sullo slancio rivoluzionario di nuove idee che possano aprire nuovi squarci di speranza per tutti noi.


Inevitabilmente, qualcuno dirà che queste sono inutili chiacchiere di un "delinquente" (epiteto gentilmente attribuitomi da una persona - residente a Sala Consilina - che in passato ha raggiunto le massime cariche rappresentative della Repubblica Italiana). A queste persone risponderemo che ognuno utilizza gli strumenti suoi propri. Peccato che chi ha rappresentato il territorio ai massimi livelli non sia riuscito a far altro che svenderne le prerogative anno dopo anno. Toccherà, adesso, ad una nuova classe dirigente tirare questa vallata fuori dalla palude socio-economica in cui essa è stata relegata.