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sabato 29 dicembre 2012

MAIALI E CANI NELLA PROSA DI ORWELL


« Intanto la vita era dura. L’inverno era rigido quanto lo era stato quello precedente, e i viveri erano anche più scarsi. Ancora una volta vennero ridotte tutte le razioni, eccetto quelle dei maiali e dei cani. Una eguaglianza delle razioni troppo rigida, spiegava Clarinetto, sarebbe stata contraria ai principi dell’Animalismo. In ogni caso egli non aveva difficoltà a dimostrare agli altri animali che, nonostante l’apparenza, in realtà essi non soffrivano di scarsità di cibo. Per il momento, certo, s’era trovato necessario venire a un nuovo razionamento (Clarinetto parlava sempre di “razionamento”, mai di “riduzione”), ma in confronto ai tempi di Jones si stava enormemente meglio. Leggendo le cifre con voce rapida e acuta, dimostrava loro minutamente che avevano più avena, più fieno, più rape che non ai tempi di Jones, che lavoravano un minor numero di ore, che bevevano acqua di miglior qualità, che vivevano più a lungo, che c’era un’assai minore mortalità infantile, che avevano più paglia per il loro letto e soffrivano meno per le pulci. Gli animali credevano ad ogni parola. » (G. Orwell, La fattoria degli animali, 1945).

Se volessimo trasporre il brano di Orwell, per riferirlo ai giorni nostri, non avremmo alcuna difficoltà nell'individuare i cani e i maiali di cui si parla, in modo figurato, nel famoso romanzo scritto nel lontano 1945. Ecco cosa vuole dire un classico: qualcosa che viene scritto in una particolare epoca ma che, col tempo, non perde la sua universale validità nella forma e nel contenuto. Efficace e, al tempo stesso, sconcertante la frase finale del passo di sopra. Clarinetto (anch'egli un maiale) che parla agli animali di come i tempi presenti, nonostante i sacrifici imposti, siano migliori di quelli in cui vi era Jones, il fattore: gli animali gli credono. Quanti Clarinetto conoscete in giro per la nostra Penisola pronti a negare l’evidenza e a raccontarci della necessità dei sacrifici che tutti noi, tranne - ovviamente - i maiali e i cani, dobbiamo fare?


La negatività fa male, dicono. Bisogna pensare positivo, anche quando questa maledetta crisi morde le carni di una società allo stremo. Avevamo cominciato a parlare per tempo, quindici anni fa circa: avevamo previsto che una classe dirigente inadeguata, propensa all’inciucio e alla cura dell’orticello proprio, di quello degli amici e degli amici degli amici, dei "clientes" e degli accoliti di turno, avrebbe portato la nostra vallata (e il Paese) allo sfascio. Ci dispiace dire che avevamo predetto quello che poi si è avverato. E ci dispiace prendere atto che, nella loro protervia e nella loro crassa  ignoranza, questi personaggi, cani e maiali insieme, hanno lasciato alla deriva milioni di persone, operai, dipendenti pubblici e non, piccoli e medi imprenditori, agricoltori, commercianti e artigiani. Adesso questi maiali e questi cani hanno abbandonato il territorio per rinchiudersi nei loro ambiti palazzi: a noi parlano attraverso i Clarinetto dei mass media, oppure seduti su comode sedie davanti a una telecamera. Mai in una piazza: non frequentano più galline, pecore, conigli, asini, mucche e cavalli, forse per paura di una rivolta. Ma noi, come gli animali di Orwell, crediamo a quello che ci dicono. E ci dicono che bisogna ancora portare la soma, più pesante di quella dello scorso anno, e che la nostra razione - già oggi scarsa - sarà ancora meno ricca il prossimo anno. 


Non parlano di “tagli”, ma di “razionalizzazione”. I loro attacchi alla dignità del lavoro non li definiscono “sottrazione di diritti”, ma “rilancio della competitività”. Non parlano di “recessione”, ma di “mancata crescita”. Sono maiali e cani, nella piena accezione Orwelliana dei due termini, e per giunta falsari linguistici. Sta a noi riconoscerli, alcuni vicini, altri lontani, alcuni ancora grondanti di bava per i lauti recenti pasti. Mandarli definitivamente a casa, nell'interesse di tutti, perché la politica possa tornare a essere onesto servizio, è dovere di ogni cittadino.



« Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. »  (G. Orwell, La fattoria degli animali, 1945).

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