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sabato 1 marzo 2014

I nostri giovani - oggi

Alti e possenti i più, tutti con visi che trasudano intelligenza viva. Slanciate e leggiadre, moltissime, sognano un futuro di pari opportunità che renda merito al loro attuale impegno. All’apparenza i nostri giovani hanno tutto quello che avremmo potuto desiderare in passato: vivono un’epoca veloce, dove le notizie viaggiano da un capo all’altro del mondo in qualche centesimo di secondo (conti alla mano); sono immersi in un mare di informazioni praticamente su tutto, dai sintomi di una banale influenza alla più recente scoperta scientifica. E tutto a portata di mano, sui loro “tablet” o sugli “smartphone”. Il “personal computer” tende, perciò, ad assomigliare sempre di più a uno strumento di lavoro piuttosto che a un mezzo per comunicare informazioni e nozioni, stati d’animo e sentimenti.

Vivi, di quella vita che appartiene solo alle giovani membra, che rendono piacevoli le giornate allo stadio o al palazzetto dello sport nell’ammirare gesti acrobatici che noi non possiamo più compiere. Quando si siedono nei banchi di scuola o nelle aule delle università d’Italia, sono sempre loro, forse non i migliori in assoluto, ma certamente tra i più bravi. Eppure sempre esposti ai rischi di visioni oniriche, come quella classica del paese dei balocchi, propinate da sempre più numerosi venditori di morte.  

Ecco, questo hanno e questi sono i nostri giovani, di cui ogni genitore va - giustamente - fiero. Eppure, ci siamo mai chiesti, come genitori, come educatori, come amministratori, quali sogni essi coltivano nei loro cuori? Ci siamo mai chiesti se nei loro sogni esiste ancora questo lembo di terra che a poco a poco vediamo noi stessi svanire, quasi non appartenesse più a nessuno? Oppure, discorrendo con loro, non notiamo forse una certa disaffezione per queste catene montuose che limitano soltanto il “guardo”, senza suscitare più quel sentimento di affetto che “l’ermo colle” Leopardiano riusciva ad infondere nell’animo del poeta? Ci siamo chiesti, infine, se ancora vedono “splendori sul Vallo”? E se nessun bagliore si scorge nei loro occhi quando parliamo della nostra vallata, ci siamo mai chiesti perché ciò avviene?

Un’analisi sociologica non troppo lontana dal vero la ritroviamo in uno scritto del compianto Gerardo Ritorto. Nel giustificare l’opera faraonica del Centro Sportivo Meridionale, costata 15 miliardi di lire circa quaranta anni fa e mai completata, agli inizi degli anni ottanta egli scriveva: La mancanza di infrastrutture per lo sport ed il tempo libero, il disinteresse degli Enti Locali per i problemi dei giovani, una legislazione “ottocentesca” che non permette alla “spesa pubblica” di rivolgersi con maggiore interesse a questo primario settore dei servizi sociali, hanno contribuito ad un più forte isolamento delle aree interne.
L’opera mastodontica, largamente sovradimensionata per le esigenze delle giovani generazioni del posto, avrebbe dovuto ospitare eventi di richiamo nazionale e internazionale, ma tutti sanno come sono andate a finire le cose, non certo per colpa di questo padre nobile della politica locale, che preconizzava lo spopolamento delle aree interne con queste semplici ed efficaci parole: I giovani, in special modo, preferiscono individuare occasioni di lavoro nelle aree metropolitane più attrezzate alimentando, anche per questo, lo squilibrio territoriale. Un altro passaggio illuminante, dunque, dove si coglie il problema dello “squilibrio territoriale”, che, secondo chi scrive oggi, è dovuto soprattutto alla carenza di infrastrutture primarie (reti di comunicazioni veloci, reti idriche e fognarie efficienti, reti viarie sicure, servizio di trasporto pubblico capillare, strutture scolastiche all’avanguardia, un’urbanistica accogliente e moderna, e altro ancora) piuttosto che all’assenza di strutture sportive. Il fenomeno dello spopolamento delle aree interne della nostra provincia e del Sud in generale, invece, è da addebitare soprattutto all’assenza di un’offerta di lavoro in loco, piuttosto che all’assenza degli stadi di calcio. All’assenza di un progetto di futuro sostenibile, in poche parole.

Quarant’anni trascorsi invano. Chi parlava di “gestione comprensoriale del territorio” ha lasciato un’eredità immensa a persone che forse nemmeno riescono ad apprezzare l’analisi dei problemi sociali fatta dall’allora Presidente della Comunità Montana. Ma qualcuno c’è che ancora insegue, forse anche poco convintamente, queste idee che avevano un senso già quarant’anna fa.


Per i nostri giovani, quindi, bisognerà mettere in campo le energie migliori, gli sforzi più degni per ridare fiducia a chi si affaccia oggi alle meraviglie della vita. E questa deve essere la stella polare per orientare l’azione politica di chi si candiderà alle prossime amministrative nella vallata. Le solite becere spartizioni di un potere effimero, che si consuma nel volgere di una o due legislature col promettere prima e col concedere poi (se ce ne sarà mai l’occasione) qualche posto all’amico o al parente (anche stretto), lascino il posto a una visione più ampia della nostra società in piena crisi d’identità. Il futuro di questi giovani non può più essere affidato nelle mani di chi, al netto di certificati giudiziari più o meno integri, non ha saputo valorizzare competenze e vocazioni locali. Si dia spazio a idee nuove, trasmesse con coraggio da giovani e meno giovani; si dia fiducia a chi non ambisce alla gestione del pubblico per gli affari che se ne potrebbero ricavare. Affinché queste terre possano conoscere un nuovo risorgimento, dopo le promesse di quaranta anni fa, infrante da una classe dirigente che ha semplicemente riprodotto, su scala locale, tutti gli insuccessi accumulati dalla mala-politica in campo nazionale, si lasci il campo sgombro da ingegnerie numeriche e si chiamino i più degni e i più capaci a guidare questa vallata fuori dal guado, nell’interesse di tutti, dei giovani in primo luogo.