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lunedì 12 agosto 2013

A TUTTI GLI EROI DI QUESTA VALLE

11 agosto 2013


Nel luglio del 1857 perdemmo una grande occasione. Un rivoluzionario, a capo di un manipolo di uomini, stava cercando di sovvertire il potere monarchico a favore di un'istituzione "repubblicana" da creare su base socialista, e - si badi bene - non di un'altra casa regnante, come si vorrebbe far credere. Infatti, la spedizione di Carlo Pisacane era in perfetta continuità con lo spirito del decreto fondamentale della Repubblica Romana del 1849.


Cippo commemorativo a Carlo PisacaneSul cippo sono incise diverse iscrizioni commemorative: di fronte: «1857 - 2 luglio - Nuovo decio - disfidante il fato - Carlo Pisacane - da queste glebe livide di strage - riuniva alla morte - né mai selvaggia tirannide - strappò all'avvenire della patria - un più eroico cuore». Agli altri lati del cippo: «4 settembre 1860 - il genio presago del duce - segnava col sangue della sua breve corte - il transito auspicato - cui la fortuna d'Italia - guidò vindice Giuseppe Garibaldi» e «4 settembre 1903 - Dalle tenebre dell'oblio - radiante si sublima e infutura la visione dell'indomito precursore. -Con lui è il cuore dei liberi cittadini che questo cippo commemorativo affidano- al culto dei posteri». Da Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Pisacane_(patriota)#cite_note-21).

Il Vallo di Diano divenne così teatro di scontri bellici e di una promessa di rivoluzione che - purtroppo - morì sul nascere. Siamo stati involontari artefici del fallimento di quella rivoluzione, che avrebbe, nelle intenzioni di Carlo Pisacane, riscattato la classe contadina da uno stato di grave indigenza materiale e di estrema arretratezza culturale. Quella classe elitaria che avrebbe dovuto appoggiare la rivoluzione non ha mai mosso un dito, cosicché quel tentativo di fare diventare il Vallo di Diano il territorio da cui sarebbe partita la prima rivoluzione italiana moderna è fallito. Pur tuttavia, oggi, l'Italia è una Repubblica, nonostante la non breve parentesi del Regno.

Sono trascorsi anni da quel luglio del 1857, quando la rivoluzione è stata malamente tradita. Dopo anni assistiamo alle stesse manovre di chi vorrebbe far credere che una persona che giunge da lontano per riscattare dal sottosviluppo l'intera classe contadina possa essere una minaccia per gli stessi popolani. Ma forse solo in questo modo si possono fomentare contro-rivolte in grado di espungere dal comprensorio qualsiasi tentativo di cambiamento.

Guardando al largo della costa cilentana non si intravedono più velieri e nemmeno barche a vapore, che non solcano più i mari da tempo. Raramente si vede una bandiera tricolore all'orizzonte. E, pur aspettando fino a sera, non arriva più il capitano "con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro". Eppure, non bisogna perdere le speranze, perché questa nostra terra ha conosciuto e generato eroi. A tutti questi eroi, vada un ringraziamento per quello che essi hanno fatto per i cittadini della " mia patria bella". Sia questo scritto un tributo a chi, affrontando il mare o le lotte in terra, si comporta o si è comportato da eroe.

giovedì 1 agosto 2013

UNA FAVOLA SENZA LIETO FINE


In questo "post" ho l'onore di riportare uno scritto della prof.ssa Rosa Maria Antonietta: una favola triste, una lettera scritta dai cani avvelenati ai cittadini di Sant'Arsenio. Una lettera da leggere fino in fondo con molta attenzione.

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Cari  cittadini di Sant’Arsenio,

vi vogliamo comunicare che vi hanno liberati della nostra presenza, uccidendoci, nascosti nel buio della notte, nei pressi del campo sportivo dove si sono presto preoccupati di scavare una grande fossa che coprisse i nostri corpi ed occultasse il reato commesso. Da anni vivevamo nel vostro paese perché i nostri padroni ci avevano abbandonati, credevamo di aver trovato ospitalità in un paese sensibile ed attento al rispetto della legalità, che proibisce qualsiasi crudeltà verso gli animali, punendola con multa e reclusione. Ci siamo uniti in gruppo perché gli uomini ci hanno insegnato che l’unione fa la forza, anche quella buona. Avevamo sentito che in questo paese si stava costruendo per noi, cani abbandonati e randagi, un canile che ci avrebbe accolti, sfamati e protetti, ne eravamo sicuri perché c’era stata una petizione con 200 firme di cittadini (che fine hanno fatto?). Nell'attesa che questa promessa si realizzasse abbiamo vissuto sfidando la pioggia, il gelo ed, essendo spesso bagnati, non abbiamo potuto pensare alla nostra toelettatura, come quella dei cani fortunati. Per questo motivo non abbiamo disturbato la vostra vita, non eravamo belli, uscivamo solo di notte, aspettando quegli “angeli” che ci portavano il cibo per sfamarci e, di “angeli”, ne abbiamo trovati parecchi. Quando li vedevamo eravamo felici, scodinzolavamo e facevamo le feste, solo così potevamo dire il nostro GRAZIE. 

Anche la sera del 10/07/2013 abbiamo  mangiato quei bocconi dati da qualcuno che sembrava un “angelo”, purtroppo la nostra fiducia è stata tradita, perché quelle mani ci hanno avvelenati, portandoci alla morte con dolori atroci. Prima di morire ci siamo uniti in gruppo, sperando di aiutarci a vicenda. Non è stato possibile. Il nostro capo, prima di morire, ci ha chiesto, con un filo di voce: ”Cosa avete fatto? Non avete rispettato le regole? Quali colpe avete commesso?”. Il più piccolo di noi ha risposto: ”Noi li abbiamo sempre rispettati, non abbiamo aggredito i loro bambini, non siamo entrati a rubare nelle loro case, né nei loro bar. Non abbiamo distrutto, entrando per 3 volte nel cimitero, le lapidi dei loro morti”. Billy ha aggiunto: ”Non abbiamo fatto amicizia con il capo della ndrangheta che, da qualche mese, si era rifugiato in questo paese, né gli abbiamo dato la nostra zampa, forse lui si è nascosto meglio di noi ed  ha avuto un’accoglienza alla luce del sole, migliore della nostra. Non abbiamo distrutto gli alberi della villa comunale, facendo sui tronchi la nostra pipì. Eppure qualche albero è stato decapitato senza un valido motivo. 

Con noi, per caso, era un cane da pastore che, prima di morire, ha pensato al suo padrone ed alle sue pecore che non avrebbe più potuto proteggere. Era venuto a salutarci e non sapeva che, anche per lui, quella sarebbe stata l’ultima cena. Non abbiamo più il tempo di porci domande a cui possiamo dare una sola risposta: su di noi si sperimentano farmaci e cosmetici ma, anche e soprattutto, si sperimenta la crudeltà. Pochi di noi si sono salvati ed oggi, agli altri cani, diciamo: “Attenti all'uomo, non fidatevi perché questo paese è pericoloso”.
Firmato
8 cani avvelenati immotivatamente


P.S.: quando ci hanno seppelliti, scavando la fossa, abbiamo incontrato nella buca le ossa di altri cani che avevano fatto, prima di noi, la stessa fine. Gli uomini dovrebbero ricordare, con terrore, un periodo della loro storia in cui c’erano fosse comuni. Insieme a quelle ossa (mandibole, femori), che sono riaffiorate, è venuta fuori quella verità che gli uomini volevano nascondere. Non era la prima volta che noi cani venivamo avvelenati, non era la prima volta che veniva commesso lo stesso reato. Vi lasciamo un territorio libero per i concerti ma, dopo aver suonato, cantato e ballato, ci auguriamo che abbiate anche meditato. Grazie a chi ha dato voce a chi non può parlare.