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sabato 13 gennaio 2018

I rischi di un unanimismo territoriale

Come non condividere le parole del giornalista Sorrentino nell'editoriale del 12-01-2018 sulle “fritture e fratture” nel Vallo di Diano. Il titolo stesso è un elogio al vuoto spinto che permea l’azione politica locale (che parola grossa!) mirata, quasi esclusivamente, all'occupazione di poltrone, piccole o grandi che siano. Come non condividere il senso di smarrimento di un cittadino, che fa proprio lo scoramento dei propri conterranei di fronte a una realtà che emana un rancido olezzo di cucinato da qui alle Alpi.
 
Esistono, però, fatti che molti operatori dell’informazione non possono dire, vuoi per pudore, vuoi per una mera questione di legittimo impedimento.

La prima cosa da raccontare è che una parte delle testate giornalistiche locali viene direttamente o indirettamente finanziata dalle banche del comprensorio. In pratica, nel tempo, ciascuna delle maggiori realtà economiche locali ha trovato un suo proprio canale informativo. È giusto questo, oppure no? Potrei solo esprimere un’opinione in merito. Grazie a questo intervento “bancario” il cittadino comune ha avuto la possibilità, a fronte di ostracismi più o meno velati messi in atto da una parte dell’informazione, di trovare accoglienza presso testate non ostili a una visione critica degli eventi che, nel bene o nel male, accadono nel Vallo di Diano.

Esiste poi un altro fenomeno. Almeno due parti politiche, e mi riferisco ai poli maggiori del passato, trovano e hanno trovato una stampella (chiaramente un eufemismo) nelle testate locali. Anche qui nulla di male, sempre che il cittadino medio sia poi in grado di leggere in chiaro dietro le sigle. Eppure, pensare che l’informazione locale sia così banalmente polarizzata su due fronti è un errore. Esistono realtà dinamiche dove, nonostante le influenze editoriali, le notizie scomode riescono ancora a venire a galla. E, per fortuna, esistono professionisti dell’informazione che riescono a mantenersi al di fuori di meschini giochi di potere e lontani dalle eminenze grigie che hanno semplicemente retto il moccolo mentre un’intera classe dirigente portava avanti la sistematica devastazione socio-economica della vallata.

Questa lunga premessa era necessaria per introdurre il discorso sulla rappresentanza e sul tema dell’esclusione del Vallo di Diano dai giochi che contano. Qualcuno, nel discutere di ciò, si riferisce meramente ai fiumi di miele dorato che scorrono dal centro alla periferia e che sfuggono all'ingordigia di alcuni amministratori locali; altri, come nel caso di Sorrentino, pensano – giustamente - a tutte le occasioni mancate per rilanciare il territorio a livello provinciale, regionale e nazionale. E così, vorrei proporre una visione alquanto diversa, concentrandomi, se possibile, sulla qualità politica della rappresentanza.

Infatti, in passato si è discusso molto di questo fenomeno: l’eccessiva frammentazione rischia di lasciare il territorio senza una rappresentanza politica a livelli più alti. Sull'opportunità di questa discussione non c’è nulla da dire. Tuttavia, quando Sorrentino si riferisce alle “lezioni del passato”, dimentica di citare protagonisti e situazioni. E partiamo dall'esperienza più recente: le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del 2015. Su questa esperienza credo di avere titolo alla parola, in quanto candidato per “Sinistra al Lavoro”, una formazione embrionale che – almeno a livello regionale – vedeva la partecipazione di movimenti, associazioni e forze politiche di sinistra a un progetto unitario di difesa dei diritti, a cominciare dal diritto al lavoro. Esperienza non riuscita, anche per una percepita disaffezione generalizzata nei confronti della politica e per la presenza monopolizzante di due caravanserragli che contavano decine di liste al proprio interno, con un’allegra pletora di candidati, locali e non locali. Nessun rappresentante del M5S, che pure si stava proponendo, a livello nazionale, come forza di opposizione. Le ragioni di questa diserzione sarebbero tutte da indagare, ma non è questo il luogo.

Proprio di recente, un noto esponente dell’informazione locale, pur riconoscendo la validità delle battaglie portate avanti in nome della dignità di cittadinanza degli abitanti del Vallo di Diano, ha addebitato anche a me la colpa della corsa alla candidatura, come se anch'io avessi contribuito alla più che voluta confusione dei due caravanserragli.

Nulla di più falso. Se l’unitarietà bisognava cercare, essa andava cercata all'interno dei due ammassi globulari del potere politico imperante, lasciando fuori chi legittimamente proponeva, coerentemente, una visione diversa della realtà e un approccio diverso alla risoluzione dei tanti problemi che ancora oggi affliggono il territorio. La candidatura avveniva in assenza di proposte locali da parte del M5S, dato non trascurabile per molti aspetti, così come accennato sopra.

Nulla di più falso, poiché molte candidature non erano frutto d’impegno, sulla base del quale si andava a chiedere un consenso, ma mere speranze di messe di voti. E qui andrebbe fatta, per non offendere l’intelligenza dei cittadini, una distinzione chiara tra voto e consenso, ma non è questo il luogo.

Nulla di più falso, perché chi era stato più volte sollecitato alla candidatura aveva più volte declinato l’invito, indicando altre persone, ugualmente degne, a sostenere il condivisibile progetto politico. Solo davanti al rifiuto di molti, nell'imminenza della competizione elettorale, la stessa persona ha accettato un sacrificio personale per dare la possibilità ai cittadini del Vallo di Diano di avere un quadro di insieme della realtà e una visione futura diversi da quanto prospettato (un verbo impropriamente usato) dai candidati locali dei due caravanserragli. Ho parlato di sacrificio personale. Infatti, secondo l’ordinamento tuttora vigente, avrei potuto chiedere e ottenere un congedo retribuito di un mese per effettuare la campagna elettorale. Tuttavia, le lezioni del secondo semestre erano giunte a un punto tale che affidare decine e decine di studenti a un secondo valido docente mi sembrava un pegno troppo alto da far pagare a dei giovani che con impegno si dedicano allo studio delle materie scientifiche. Cosicché, ho svolto regolarmente le mie mansioni lavorative e la sera ho dedicato il mio tempo residuo alle piazze (per lo più vuote), così come documentato da Lorenzo Peluso in un suo articolo-testimonianza della campagna elettorale del 2015. Ma perché le piazze? Perché l’agorà è il luogo d’incontro democratico. Non la camarilla del potere o il filo del telefono o la piazza virtuale. L’incontro vero (o anche lo scontro democratico, se necessario) dovrebbe avvenire nelle piazze, quelle opportunamente evitate da una parte politica (non troverebbero una piena spiegazione le campagne elettorali invernali, altrimenti). Anche il cittadino disaffezionato ha abbandonato la piazza, perché spinto a pensare che non esista più una valenza politica del luogo e che l’informazione (cartacea, catodica, o telematica) sia sufficiente a dissipare qualsiasi dubbio sulle ragioni dei candidati. Nulla di più falso.

E qui s’innesta anche il discorso di una sorta di black-out editoriale portato avanti da tutte le testate giornalistiche locali durante la campagna elettorale. L’unico confronto tra la pletora di candidati degli schieramenti dominanti e il sottoscritto è avvenuto, molto in sordina, a Padula, per merito di alcuni giovani che – nonostante l’encomiabile (neutra) iniziativa – hanno puntualmente disertato le piazze. Era il 24 maggio 2015, una data tristemente evocativa.


Consapevole che questi lunghi e noiosi scritti non possono trovare posto, anche per la riconosciuta scomoda natura, nelle prime file delle notizie, ricoperte opportunamente dalle cronache delle faide politiche locali, vorrei ugualmente dare un contributo di verità, qualora questa possa ancora essere riconosciuta come tale. E vorrei, infine, pensare che queste siano le vere lezioni del passato da imparare. Ossia, che si riesca a distinguere nel futuro – nonostante gli imposti black-out editoriali – chi fa dell’impegno sociale una bandiera e chi è alla ricerca di un’ennesima comoda poltrona. Si possa comprendere che la politica non è solo interesse locale, ma anche visione (seppure di parte) del passato, del presente e del futuro. Anzi, proprio nel non dare diritto di parola alle minoranze – in nome di una proclamata unità di intenti (quale?) – si rischia di far regredire il territorio su posizioni ancora più arretrate (se possibile). Che l’unità vada ricercata negli agglomerati politici omogenei, poi, deve essere un fatto da ricordare, così come giustamente fa Sorrentino. Altrimenti si rischia di propugnare un unanimismo che non esiste nemmeno tra i notabili politici (mi si perdoni l’evidente incapacità di trovare forme linguistiche più idonee) del posto, così come lo stesso Sorrentino ha dimostrato. Oppure, ancor più pericolosamente, si rischia di affidare la rappresentanza politica di un intero comprensorio a uno o più personaggi che, singolarmente presi, potrebbero a malapena rappresentare se stessi in un’assemblea condominiale, seppure poco affollata.