In questo "post" ho l'onore di riportare uno scritto della prof.ssa Rosa Maria Antonietta: una favola triste, una lettera scritta dai cani avvelenati ai cittadini di Sant'Arsenio. Una lettera da leggere fino in fondo con molta attenzione.
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Cari cittadini di Sant’Arsenio,
vi
vogliamo comunicare che vi hanno liberati della nostra presenza, uccidendoci,
nascosti nel buio della notte, nei pressi del campo sportivo dove si sono
presto preoccupati di scavare una grande fossa che coprisse i nostri corpi ed
occultasse il reato commesso. Da anni vivevamo nel vostro paese perché i nostri
padroni ci avevano abbandonati, credevamo di aver trovato ospitalità in un
paese sensibile ed attento al rispetto della legalità, che proibisce qualsiasi
crudeltà verso gli animali, punendola con multa e reclusione. Ci siamo uniti in
gruppo perché gli uomini ci hanno insegnato che l’unione fa la forza, anche
quella buona. Avevamo sentito che in questo paese si stava costruendo per noi,
cani abbandonati e randagi, un canile che ci avrebbe accolti, sfamati
e protetti, ne eravamo sicuri perché c’era stata una petizione con 200 firme di
cittadini (che fine hanno fatto?). Nell'attesa che questa promessa si
realizzasse abbiamo vissuto sfidando la pioggia, il gelo ed, essendo spesso
bagnati, non abbiamo potuto pensare alla nostra toelettatura, come quella dei
cani fortunati. Per questo motivo non abbiamo disturbato la vostra vita, non
eravamo belli, uscivamo solo di notte, aspettando quegli “angeli” che ci
portavano il cibo per sfamarci e, di “angeli”, ne abbiamo trovati parecchi. Quando li vedevamo eravamo felici, scodinzolavamo e facevamo le feste, solo
così potevamo dire il nostro GRAZIE.
Anche la sera del 10/07/2013 abbiamo mangiato quei bocconi dati da qualcuno che
sembrava un “angelo”, purtroppo la nostra fiducia è stata tradita, perché
quelle mani ci hanno avvelenati, portandoci alla morte con dolori atroci. Prima
di morire ci siamo uniti in gruppo, sperando di aiutarci a vicenda. Non è stato
possibile. Il nostro capo, prima di morire, ci ha chiesto, con un filo di voce: ”Cosa avete fatto? Non avete rispettato le regole? Quali colpe avete
commesso?”. Il più piccolo di noi ha risposto: ”Noi li abbiamo sempre
rispettati, non abbiamo aggredito i loro bambini, non siamo entrati a rubare
nelle loro case, né nei loro bar. Non abbiamo distrutto, entrando per 3 volte
nel cimitero, le lapidi dei loro morti”. Billy ha aggiunto: ”Non abbiamo fatto
amicizia con il capo della ndrangheta che, da qualche mese, si era rifugiato in
questo paese, né gli abbiamo dato la nostra zampa, forse lui si è nascosto
meglio di noi ed ha avuto un’accoglienza
alla luce del sole, migliore della nostra. Non abbiamo distrutto gli alberi
della villa comunale, facendo sui tronchi la nostra pipì. Eppure qualche albero
è stato decapitato senza un valido motivo.
Con noi, per caso, era un cane da
pastore che, prima di morire, ha pensato al suo padrone ed alle sue pecore che
non avrebbe più potuto proteggere. Era venuto a salutarci e non sapeva che,
anche per lui, quella sarebbe stata l’ultima cena. Non abbiamo più il tempo di
porci domande a cui possiamo dare una sola risposta: su di noi si sperimentano
farmaci e cosmetici ma, anche e soprattutto, si sperimenta la crudeltà. Pochi
di noi si sono salvati ed oggi, agli altri cani, diciamo: “Attenti all'uomo,
non fidatevi perché questo paese è pericoloso”.
Firmato
8
cani avvelenati immotivatamente
P.S.:
quando ci hanno seppelliti, scavando la fossa, abbiamo incontrato nella buca le
ossa di altri cani che avevano fatto, prima di noi, la stessa fine. Gli uomini
dovrebbero ricordare, con terrore, un periodo della loro storia in cui c’erano
fosse comuni. Insieme a quelle ossa (mandibole, femori), che sono riaffiorate, è
venuta fuori quella verità che gli uomini volevano nascondere. Non era la prima
volta che noi cani venivamo avvelenati, non era la prima volta che veniva
commesso lo stesso reato. Vi lasciamo un territorio libero per i concerti ma,
dopo aver suonato, cantato e ballato, ci auguriamo che abbiate anche meditato.
Grazie a chi ha dato voce a chi non può parlare.
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