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sabato 28 settembre 2013

Museo Alfredo De Marsico

Ho il piacere di pubblicare, con il consenso dell’autore, questo scritto sul mio blog personale. Penso che questo territorio avrà ancora una speranza, fintanto che ci saranno giovani dedicati al bene comune. Sposo in pieno l’idea di dedicare un museo cittadino alle attività del giurista De Marsico, affinché l’opera del nostro conterraneo e quella di altri validi giuristi non vada dispersa, ma resti a disposizione delle future generazioni come patrimonio culturale locale. 

Segnalo la biografia del giurista curata da Giuseppe D'Amico (edizioni "Laveglia & Carlone"). In una recensione di Paolo De Luca al libro si legge "De Marsico, ex dirigente fascista fu epurato dall'università di Roma. Per sette anni rimase lontano dagli ambienti accademici. La totale riammissione, solo nel 1950, fu grazie anche all' appoggio di Mario Berlinguer, padre di Enrico". Altri tempi e, soprattutto, altre tempre...



Museo Alfredo De Marsico "di Sala Consilina"
Sala Consilina, 08/09/2013
Avv. p. Nicola Colucci 
Alfredo De Marsico (da Wikipedia)
Quando si ha a che fare con le parole una cosa sola importa: chi comanda, chi è il padrone. Esse sembrano non avere peso e consistenza, sembrano entità volatili, ma sono in realtà meccanismi complessi e potenti, il cui uso genera effetti e implica (dovrebbe implicare) responsabilità. Proprio perché le parole creano la realtà,  fanno e disfano le cose, è importante avere lucida consapevolezza dei sistemi che ne determinano il funzionamento, delle ragioni che ne producono il medesimo. Ciò che ha destabilizzato lo scafo della Giustizia a Sala Consilina come in tutto il Vallo del Diano è la lingua del potere, lingua pericolosa, a volte raggelante, a volte impermeabile all'interrogazione di settantamila abitanti usurpati della tutela del proprio territorio da un fenomeno politico lento, progressivo in modo patologico, mal ricorrente. La situazione patologica attuale comporta la necessità di ribadire con argomenti - e con forza - ciò che dovrebbe essere ovvio e scontato (cioè, che i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge, e che non si possono approvare norme finalizzate unicamente alla tutela di un solo individuo o meglio di un solo territorio). Pertanto, nella remota possibilità che il Tribunale della Città di Sala Consilina dovesse chiudere in modo definitivo, dal giorno 13 settembre 2013, si rende noto al lettore del Vallo di Diano che sarà proposta la nascita di un nuovo Museo a Sala Consilina, quello di Alfredo De Marsico, Giurista, avvocato e politico italiano (nato a Sala Consilina nel 1888 e morto a Napoli nel 1985). Professore di diritto e procedura penale dal 1927, nelle università di Bari, Bologna, Napoli e Roma, diresse con G. Delitala la “Rivista di diritto e procedura penale”. Nel 1929 è stato relatore per la riforma del codice penale alla Camera dei deputati. Tra le sue opere ricordiamo: “La rappresentanza nel diritto processuale penale” (1915); “Coscienza e volontà nella nozione di dolo” (1930); “Studî di diritto penale” (1930); “Diritto penale, parte generale” (1936); “Lezioni di diritto processuale penale” (1937); “I delitti contro la personalità dello Stato” (1937); “Delitti contro il patrimonio” (1951); “Nuovi studî di diritto penale” (1951).  De Marsico fu eletto deputato alla Camera per la prima volta nel 1924 tra le file del Listone Mussolini, varò una legge sulla riforma del Codice Penale e collaborò alla stesura del Codice Rocco. 

La struttura di Lagonegro (PZ) che oggi ospita gli uffici
di una parte del Tribunale di Sala Consilina.
Fu rieletto alla Camera nel 1929, e confermato nel 1934. Nel 1939 divenne consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Dal 1925 al 1942 fece parte della commissione parlamentare per la riforma dei codici mentre il 6 febbraio 1943, entrò nel Governo Mussolini in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia, subentrando in tale carica a Dino Grandi. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio del 1943 votò in favore della mozione Grandi che determinò l'arresto di Benito Mussolini. Condannato a morte, in contumacia nel Processo di Verona del 1944, durante gli ultimi mesi di guerra risiedette a Salerno, ormai liberata dalle truppe anglo-americane.

Noi tutti non stiamo solo regalando a terzi  la nostra tutela territoriale, o la casa di Alfredo De Marsico,  ma stiamo cedendo anche un ampio patrimonio tecnico-informatico, poiché Sala Consilina è stato il primo Tribunale della Nazione Italiana a dotarsi del Processo Telematico. L'archivio del Tribunale, inoltre, è fornito di strumenti robotizzati di cospicuo valore economico. Dal punto di vista strettamente culturale, possiamo infine affermare che nell'archivio bunker si preservano antichi scritti giuridici, codici ottocenteschi,  antiche sentenze del primo decennio del novecento epigrafate a mano (in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele Terzo Re d'Italia), ed a continuare. Patrimonio culturale frutto di sacrificio costante dei Giuristi Avvocati, del personale custode delle Cancellerie che si sono susseguiti negli anni ed hanno continuato a preservare questa ricchezza, affinché si potesse tramandare, dall’Unità d’Italia fino ai giorni nostri, l'importanza che la nostra comunità ha rivestito negli ultimi secoli.
Un momento di protesta degli avvocati nei
giorni immediatamente precedenti alla data
del 13 settembre 2013.
Eppure, si intravede un problema legato al dibattito che riguarda la cultura e il patrimonio culturale del nostro territorio: l’ostinazione a parlarne solo in termini economici. Questa  ovvietà  non ci promette scenari a lieto fine, ma ci dà, quantomeno, un’idea dello stallo in cui si trova la lotta che si combatte in nome della cultura e della tutela del territorio Salese e Valdianese. Possiamo quindi parlare di una prima vera crisi locale dei beni collettivi che investe, oggi, anche la Giustizia; e ciò non è vero solo nel nostro territorio. Per orgoglio, prestigio ed economia, il nostro Tribunale significa tutela, sviluppo e fiducia. E vorrei, a tal proposito, ricordare l'articolo 3 della Costituzione che, al comma 2, affida alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Rimuovere cioè gli ostacoli che impediscono l'esercizio della scelta. Compito della Repubblica è dunque creare le condizioni perché tutti possano scegliere liberamente, ricordando - seppur ovviamente - che la facoltà di scelta si nutre della libertà, anzi delle libertà, intese in una accezione profonda, solidale, empatica. Libertà dal bisogno, libertà dal sopruso dei criminali e dalla sopraffazione dei pubblici poteri, libertà dallo sfruttamento (di cui questi anni ci offrono l'emblema perfetto nelle cosiddette democrazie avanzate come la nostra), libertà dall'ignoranza, libertà da chi crede di sapere e di conoscere quando – forse - non è così.

Ciò in cui spero o meglio speriamo - lo evidenzio forse anche con quanto scritto? – è in “una scappatoia”, che sia da contenimento alle perdite di ciò che oggi è nostro e che ci ancori alla speranza che, un giorno, tutto quanto ci sarà tolto ritornerà ancora nostro!


mercoledì 4 settembre 2013

Profumo e polvere di terra

Commento al libro “Profumo e polvere di terra” 
di Lorenzo Peluso, edito da Il Melograno (maggio 2103).

Il recente lavoro di Peluso, “Profumo e polvere di terra”, trova la sua essenza, secondo il parere di chi scrive, nel penultimo e nell'ultimo capitolo, intitolati, rispettivamente, “Quale futuro” e “Il coraggio e le speranze di Antonio”. Sebbene l’autore non manchi di fornire una prova di profonda conoscenza del territorio del Vallo di Diano nella sapiente costruzione dei primi capitoli, ricchi di cenni storici e di dati, è proprio nella parte finale del tomo che il lettore ritrova esplicita l’ intenzione celebrativa del mondo contadino. Il rispetto e - oserei dire - l’amore per la “cultura contadina” danno a questo libro un sapore letterario unico, che si apprezza particolarmente se si è potuto conoscere, anche solo di riflesso, quel mondo fatto di sincera solidarietà nei confronti del prossimo e di profondo rispetto per l’ambiente.     
L'autore del libro "Profumo e polvere di terra", Lorenzo Peluso

Nel penultimo capitolo l’autore cerca di individuare una possibile via di uscita dal difficile momento che il Vallo di Diano sta attraversando. La vallata, la cui vocazione agricola e turistica è indiscutibile, ha solo da qualche decennio abbandonato le tradizioni agro-pastorali che rappresentavano salde fondamenta di una società prospera e coesa. L’assetto geo-morfologico del Vallo di Diano ha costituito, per molti versi, una barriera protettiva nei confronti di contesti sociali più avanzati e influenti della nostra Penisola. Un’oasi felice, forse, ma pur sempre un’oasi; come se i monti perimetrali avessero voluto frenare l’inesorabile scorrere del tempo. Questa improbabile impresa è divenuta impossibile, tuttavia, quando i nuovi stili di vita, veicolati da media sempre più pervasivi, hanno imposto nuovi modelli sociali ai nostri nonni e ai nostri genitori. Il tutto è bene evidenziato nella parte introduttiva del libro. L’autore, fa suo il disorientamento degli abitanti della vallata che, avendo dedicato l’intera esistenza al lavoro dei campi o alla pastorizia, vedono superati quei modelli produttivi e quell'impostazione sociale da un consumismo sfrenato che conoscerà l’acme negli anni ’80 e ‘90, prima dell’attuale crisi economica. Peluso fa un’analisi dettagliata e veritiera della comunità contadina dell’immediato dopoguerra, a tratti rendendo meno grave il racconto della vita dei campi con qualche nota nostalgicamente bucolica. L’aspetto più importante, per chi scrive questo commento, tuttavia, è da individuare nel fatto che, in questo capitolo, l’autore ha saputo evidenziare la necessità di un forte senso di “comunità” nella società di un tempo. Il singolo operatore agricolo, infatti, con la sua sola famiglia, non era in grado, senza l’aiuto delle fattorie dell’”area”, di svolgere tutte quelle attività che andavano compiute in un lasso di tempo molto ridotto. Infatti, solo un apporto di un considerevole numero di braccia, prima della meccanizzazione, poteva rendere possibile un lavoro esteso nello spazio e nel tempo. La compartecipazione al destino altrui e la solidarietà tra simili erano quindi delle realtà di fatto. E questo, oltre all'armonia tra tempo libero e lavoro nell'alternanza delle stagioni, all'attitudine al risparmio e al rispetto per i beni ambientali, faceva parte del patrimonio culturale della nostra comune “civiltà contadina”. Nel saggio-racconto di Peluso, tutti questi tratti sono ben evidenziati.

Diviene quindi auspicabile una lettura attenta del libro non solo da parte di chi di agricoltura s’interessa, ma anche da parte dei giovani, ai quali, fondamentalmente, è dedicato l’ultimo capitolo: “Il coraggio e le speranze di Antonio”. Antonio è un giovane di Sanza, che - rimasto senza lavoro per ben due volte nell’arco di poco più di un decennio, a seguito dell’attuale crisi economica - decide, dopo vari tentativi di ricerca di nuova occupazione, di far rivivere l’ovile del nonno Sabino, che era stato un pastore. Antonio riesce nell'impresa, anche perché si lascia guidare dai ricordi che lo tengono legato alle attività che il nonno svolgeva in sua compagnia. Deve rinunciare, tuttavia, all'intensa vita sociale cui i nostri giovani sono oggi adusi. Peluso affronta questo racconto con l’ammirazione che ognuno di noi sente nei confronti di questo giovane che, con l’aiuto di sua madre, riesce a portare avanti un’impresa redditizia nello stesso modo in cui si faceva anni fa: capre al pascolo, cura per i tracciati e per l’ambiente circostante, lavoro intenso per 365 giorni l’anno. “Questo è un lavoro che ti assorbe; non ti permette gli svaghi. Qui i festivi non esistono”. É questo che Antonio racconta a Peluso. E qui s’innesta un discorso puramente politico, che dobbiamo fare come corollario a quanto egregiamente raccontato da Peluso. L’autore, infatti, auspica un ritorno all'agricoltura, come nel capitolo “Ritorno alla terra”, ma giustamente si astiene da facili ricette.

In questi anni alla parcellizzazione sempre più spinta della proprietà terriera non è seguita una politica sociale che potesse far superare una criticità essenziale: la mancanza di quei meccanismi di solidarietà che Peluso ci racconta nel suo tomo. Il lavoro nei campi è stato così concepito come avveniva prima della meccanizzazione. Forse si pensava che, finanziando ogni singola piccola impresa agricola, si potessero mantenere gli standard produttivi di una volta. Questo ha funzionato fintanto che i sussidi per le piccole imprese sono stati erogati, in modo più o meno cospicuo, a chi aveva fatto della vita dei campi la propria ragione di vita e voleva continuare a lavorare nello stesso modo in cui avevano fatto i propri genitori. Il documentato crollo del numero delle piccole attività agricole negli ultimi decenni, però, sta a indicare un progressivo abbandono del lavoro dei campi da parte delle giovani generazioni. In questa ottica di abbandono delle colture si innesta l’utilizzo dei terreni agricoli per fini diversi da quelli della produzione agro-alimentare: urbanizzazione di vaste aree per fini produttivi o abitativi; creazioni di aree industriali in siti di pregio ambientali (in almeno un caso i lavori sono stati affidati a una ditta di Casal di Principe); utilizzo di alcune aree, destinate alla coltivazione agricola, per smaltimento illecito dei rifiuti (così come documentato dall’inchiesta Chernobyl condotta dal dott. Donato Ceglie dell Procura di Santa Maria Capua Vetere). Un vero e proprio “sacco della vallata” portato avanti, in modo scientifico, sotto lo sguardo impotente di ogni cittadino che non appartenesse alla “casta locale”. Un sacco reso possibile dallo svilimento delle attività agro-pastorali locali: nessuna politica di cooperazione tra proprietari terrieri e operatori agricoli messa in atto; nessun rilancio dei prodotti su mercati locali (a filiera corta) o regionali; nessuna formazione per introdurre nuovi metodi produttivi tra le maestranze locali; infine, nessuna vera attenzione – se non a chiacchiere – verso i beni ambientali del nostro territorio.


Naturalmente, queste cose l’autore non avrebbe potuto dirle e, forse, non si sarebbero inserite bene nel saggio-racconto di Peluso, soprattutto in quell'egregio pezzo di letteratura locale costituito dall'ultimo capitolo. Il libro, quindi, resta un buon punto d’inizio per comprendere più a fondo la nostra realtà. Tra i pregi del lavoro vi è quello, si vuole ripetere, di non aver prescritto facili ricette per il “ritorno alla terra” auspicato. Questo sarà compito di una nuova classe dirigente che si formerà dall'implosione di una “casta” che si è insediata al potere locale da oltre un trentennio e che ha omesso di compiere tutti quegli atti che avrebbero permesso ad Antonio, oggi, di cooperare con altri giovani per il raggiungimento di obiettivi comuni. Quella frase sul sacrificio della vita dei campi avrebbe potuto, infatti, suonare in modo diverso: un lavoro come tanti altri, ugualmente redditizio ma più sano e pieno di soddisfazioni, che permette di godere in pieno di una vita sociale che, oggi, i mezzi tecnologici rendono sempre più varia e intensa.