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domenica 6 maggio 2018

La nuova questione meridionale

Non è stato sufficiente l’esempio tenace di Gaetano Salvemini (1873-1957) nel prescrivere, per le “tre malattie” dell’Italia meridionale, i rimedi che riteneva più appropriati per l’epoca storica in cui egli visse. Avendone menzionato il numero, elenchiamo anche le caratteristiche di queste malattie secondo l’illustre meridionalista.

La prima, che Salvemini non reputava un privilegio del solo Meridione, ma che era comune anche al resto dell’Italia, potrebbe essere riassunta come una tendenza all’oppressione economica delle classi sociali più indifese da parte di uno Stato “accentratore, distruttore, divoratore”. Per dirla con le stesse parole di Salvemini: “… è la malattia dello Stato, il quale, divenuto mancipio di un pugno di affaristi e di parassiti, deve opprimere con un sistema tributario selvaggio tutte quelle classi, che non prendono parte al mercimonio tra potere esecutivo e maggioranze parlamentari…[1]    

La seconda, in natura simile alla prima, è dovuta alla subalternità economica dell’Italia meridionale rispetto all’Italia settentrionale. Leggere le chiare parole del Salvemini farebbe bene a molti: “La spedizione garibaldina fu per la maggior parte dei benpensanti settentrionali un atto di conquista vera e propria. Il Napoletano e la Sicilia non  avevano debiti, quando entrarono a far parte dell’Italia una; e la unità del bilancio nazionale ebbe gl’effetti di obbligare i meridionali a pagare gl’interessi dei debiti fatti dai settentrionali prima dell’unità e fatti quasi tutti per scopi che per l’unità nulla avevano a che fare.[2] Illuminante il passaggio seguente: “Questa seconda malattia potrebb’essere da un osservatore superficiale confusa facilmente con la prima; ed ha in realtà con quella molti punti di contatto. Infatti, è la macchina dello Stato quella che serve a riversare la ricchezza meridionale sul Settentrione…”[3]

La terza, per la quale il Salvemini afferma che “non c’entrano né il clima né la razza; le cause sono esclusivamente sociali...”, è individuata nella “ struttura sociale semifeudale, che è di fronte a quella borghese dell’Italia settentrionale un anacronismo…”[4]
Per la cura di queste malattie Salvemini condivide, con gli intellettuali dell’epoca, rimedi semplici nell’enunciato: “L’Italia meridionale ha bisogno di un Governo che non la opprima sotto il peso delle imposte, e quindi è necessario che tutta la politica italiana si riformi; ha bisogno di un Governo, che segua una politica di giustizia distributiva e non aggravi la mano sul Mezzogiorno a favore dell Settentrione; è necessario che venga rispettata la giustizia nelle relazioni tra proprietari e lavoratori…”[5]     

Salvemini, tuttavia, nel suo scritto del 1900, si mostrava scettico nella capacità dello Stato dell’epoca di dare un Governo siffatto all’Italia post-unitaria. Egli allora, pur condividendo quanto c’era da fare per la risoluzione della questione meridionale, si chiedeva quanto segue: “C’è nell’Italia meridionale un punto d’appoggio, su cui si possa far leva per sollevare il mondo sociale? O, in altre parole, c’è nell’Italia meridionale un partito riformista? E se non c’è, è possibile che sorga? e quali sono le persone che lo comporranno?[6]   

Prima di avventurarci nell’ardita tesi che dal 4 marzo scorso la questione meridionale è rinata in parte sotto le vesti descritte da Salvemini, in parte con caratteristiche del tutto inedite, vorremmo premettere che non abbiamo la pretesa di indicare percorsi economico-sociali che portino alla soluzione della questione stessa. Questo compete a quel partito riformista indicato da Gaetano Salvemini. Infatti, esso, nel caso divenisse l’ossatura di un futuro Governo, dovrà realizzare ciò che una parte della classe intellettuale sapeva da anni, per dare risposte concrete ai cittadini del Mezzogiorno d’Italia.


Dal quadro che esce fuori dalle urne, dopo le ultime consultazioni, l'industrializzato Nord ha rinsaldato il proprio legame politico con le forze di una destra che è nettamente diversa da quella a maggioranza berlusconiana. D’altro canto, il voto compatto dell’intero Meridione per una forza di opposizione alle politiche economiche e sociali del precedente (e ancora attuale) Governo, non lascia alcun dubbio sul fatto che i cittadini del Sud abbiano ormai preso coscienza delle “tre malattie”, i cui sintomi sono la sofferenza provocata dalla stretta sui conti pubblici (trasporti, sanità e servizi sociali) e della crisi del lavoro. Questa tenaglia socio-economica, sommata all’esposizione continua delle popolazioni del Meridione alla barbarie della criminalità organizzata, ha ingenerato una risposta molto diffusa, nelle classi sociali più diverse, nei confronti dei partiti che, pur potendo agire – per tradizione politica – nella direzione indicata da Salvemini, hanno preferito gestire il potere in modo clientelare e, a volte, addirittura familistico. Il voto corale non lascia alcun dubbio sul fatto che il Sud abbia voluto individuare una possibile risposta al quesito posto da Salvemini. Il Movimento destinatario del consenso e le altre forze politiche che, nella loro tradizione riformista, avrebbero potuto concorrere a mettere in atto dei rimedi efficaci per il “malato” Meridione sono ancora in tempo a decodificare la vera natura di questi segnali. Pertanto, quello che oggi viene definito uno “stallo” politico, in realtà potrebbe essere solo la conseguenza di una mancata corretta analisi della portata sociale della distribuzione geografica del voto. La stessa distribuzione che, secondo il parere di chi scrive, ripropone ancora una volta, con forza, l’importante domanda di Gaetano Salvemini:  
 
C’è nell’Italia meridionale un partito riformista? E se non c’è, è possibile che sorga? e quali sono le persone che lo comporranno?


[1] G. Salvemini, Scritti sulla questione meridionale (Einaudi, Torino, 1955)
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem

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