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domenica 8 aprile 2012

Tempo di passaggi e sacrifici


In questi giorni di riflessione sul "passaggio", religioso o laico che sia, ci chiediamo se siamo tornati a celebrare riti arcaici, nei quali si sacrificavano esseri umani per soddisfare i voleri (o i capricci) di divinità adorate da comunità primitive. Siamo giunti a questo, oppure siamo ancora capaci di immaginare un assetto sociale che vada oltre il volere dei fantomatici "mercati" che tutto muovono e tutto regolano?
La sede della BCE a Francoforte

La diatriba sull’articolo 18 è solo un esempio dei tanti paradossi che la politica italiana sta elaborando. In effetti, si comprende come questo “passaggio” parlamentare sia di fondamentale importanza per chiedere altri sacrifici (forse anche umani) alla Nazione: l’obiettivo è di giungere alla licenziabilità di centinaia di migliaia di persone, così come è accaduto in Grecia. In questo modo, i “mercati” saranno soddisfatti del “sacrificio” e il resto del Paese riuscirà a sopravvivere (e questa sarà, probabilmente, la litania che ci verrà propinata a rete unificate). E chissà per quanto tempo, dopo l'operazione draconiana, la Nazione sopravviverà al disastro sociale procurato da questo paradossale modo di intendere l’azione politica. Intanto, il sacrificio attuale di milioni di persone, tra nuovi poveri e disoccupati, non sembra essere sufficiente a sfamare l’ingordigia dei “nuovi ricchi”. Se crediamo che in tempi non molto lunghi vi è conservazione della massa monetaria, bisognerà dire che, se da una parte si crea povertà, da qualche altra si crea ricchezza. E quindi, sarebbe opportuno scovare questa ricchezza. Innanzitutto, sarebbe opportuno evitare la concentrazione di cariche e incarichi pubblici; da subito. Sarebbe utile, poi, stabilire un tetto alquanto basso alle retribuzioni da pubblico impiego, in quanto lo Stato – per primo - non può alimentare le diseguaglianze sociali. Sarebbe poi giusto stabilire regole che impediscano una così grande disparità tra la paga di un operaio e quella di un cosiddetto “manager” di una qualsiasi impresa. Per una volta si potrebbe incominciare dall’alto, toccando i papaveri e lasciando in pace le papere.
Senza alcun ardore ideologico, si potrebbe istituire un reddito minimo garantito per tutti coloro i quali non riescono a trovare impiego: ognuno di noi ha infatti bisogno di un posto dignitoso dove vivere, di cibo a sufficienza e di un lavoro. E su quest’ultimo punto si esprime persino la Costituzione, quando afferma che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, anche se le forme di partecipazione democratica si stanno affievolendo sempre di più e il lavoro sta scomparendo a poco a poco. Le risorse per rendere la vita meno grama alle fasce più deboli della nostra società potranno essere prese dai grandi patrimoni, con buona pace dell’onesto (ehm!) accumulo di danaro nel corso degli anni.

I cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda,
Italia, Grecia, Spagna).
La lotta alla criminilità organizzata dovrebbe poi essere un imperativo categorico per il nuovo corso politico e sociale. Uno Stato che non saprebbe vincere la guerra contro la malavita, ormai fermamente radicata in tutto il territorio nazionale, non dovrebbe essere degno di chiamarsi tale. In alcune regioni, infatti, si assiste all’assurda inversione dei ruoli, dove lo Stato viene visto come vessatorio e il malavitoso come un salvatore del cittadino vessato. La criminilità, nelle sue floride attività illegali, riesce così ad attirare consenso sociale, anche attraverso l’elargizione di posti di lavoro, mentre lo Stato arretra sul fronte dei diritti costituzionalmente garantiti, come il diritto alla salute. Per fare solo un esempio, non si dovrebbe lasciar morire – dopo sei ore di attesa - una persona in un pronto soccorso, così come purtroppo è anche accaduto. Questa strana rappresentazione dell’assetto sociale è, a volte, alimentata proprio da una classe dirigente poco osservante delle leggi e molto attenta al proprio tornaconto. Per questo, nel corso degli anni, si è assistito alla corsa alla poltrona, non tanto per mettersi al servizio della collettività, quanto per aggiustare affari propri o quelli di amici e parenti. E questo non è successo solo in politica. Un sistema che si è retto su questi schemi non ha saputo affrontare la pressante richiesta di innovazione di un mondo che avanzava speditamente verso traguardi scientifici e tecnologici sempre più spinti. E laddove ha cercato di reggere il passo con la modernità, ha abbandonato la propria identità culturale, facendo di luoghi e terre incontaminati un ammasso di cemento e di brutture di ogni tipo e trasformando le tradizioni socio-economiche del posto in un cumulo di cenere. Lo strapotere della criminalità organizzata, inoltre, si è chiaramente manifestata agli Italiani allorquando un ministro della Repubblica ha voluto affermare che con la malavita bisognava convivere. Un’infelice concetto che rende bene, tuttavia, la forza dell’economia mafiosa nel nostro Paese.


Per giunta, oggi si vive in una sorta di stato di guerra dettato dai potentati economici che hanno preso di mira, sembrerebbe, il benessere dei cittadini comuni. Da qualche parte, poi, si sente parlare di crisi come opportunità. Se questo è vero, l’opportunità risiede nel fatto che alcuni stanno approfittando della crisi per accumulare sempre più ricchezze, così come i rilevamenti statistici sui flussi monetari ci fanno intuire. Le grandi imprese di distribuzione di servizi essenziali, infatti, non conoscono crisi e sono sempre pronte a far quadrare i conti con aumenti delle tariffe, a volte non ben giustificati. E in questa guerra economica si innesta una nuova lotta di classe: quella della casta privilegiata contro quella che una volta si indentifivava con la classe operaia. Nella visione marxista la classe operaia avrebbe preso il sopravvento sulla borghesia dominante proprio perché demograficamente più rilevante. In questo mondo alla rovescia, la casta sta prendendo il sopravvento sulla classe media e sui ceti sociali più deboli, proprio perché in possesso delle leve del potere politico, economico e finanziario insieme e proprio perché sembra abbia accettato, molto cinicamente, la "convivenza" con la criminalità organizzata. Molti di noi stanno assecondando questo disegno in modo più o meno consapevole. Cosicché, mentre la religione una volta poteva essere pensata come un mezzo per sopire i rancori sociali, oggi i meccanismi per poter controllare la rabbia, che la classe media e i ceti meno abbienti stanno covando, sono di diversa natura. Si parta dal considerare che, nell'attuale modello sociale, il livello di utilizzo dei beni prodotti è diventato talmente elevato che gli scarti della società dei consumi (i rifiuti) costituiscono oggi un vero e proprio problema dal punto di vista ambientale. Alcuni sostengono che abbiamo creato un mostro: una società che si regge sul consumo e sulla crescita, ossia sulla realizzazione di un prodotto interno lordo sempre maggiore. Ed ecco il nuovo oppio: il cittadino diventa un consumatore pacifico se nel suo paniere riesce a inserire, acquistandoli, un numero di beni sufficiente alla propria soddisfazione. Pertanto, il telefono cellulare (per fare un esempio banale) diventa, a ragione, un oggetto essenziale; il grado di sofisticazione tecnologica (e quindi il prezzo) dello strumento, tuttavia, diviene uno "status symbol", così come è avvenuto per l’automobile. Pur tuttavia, un modello di società siffatto non è "sostenibile", ovvero non permette la sopravvivenza del modello stesso se non per un numero di anni esiguo sulla scala del secolo, diciamo. In questo modo, dobbiamo trovare nuovi modelli e nuovi paradigmi al di fuori degli schemi che potrebbero portarci al collasso sociale e al disastro ecologico. E qui dovrebbe intervenire la politica che, al momento, altro non sa fare che assecondare la sconfitta delle classi sociali più deboli a favore della casta.


I modelli di sviluppo proponibili non possono che essere ispirati alla sostenibilità del futuro di "Gaia", ossia dell’ecosistema nel suo insieme, e a una maggiore sostenibilità sociale, costituita da un progressivo livellamento del grado di benessere dei cittadini. Per venire incontro alle richieste di sostenibilità ambientale, si dovrà passare dall’era del petrolio, inquinante e concentrato nelle mani di pochi, a quella completamente decarbonizzata  e democratica dell’idrogeno, così come previsto da Jeremy Rifkin [1]. Questo stesso passaggio semplificherà il ruolo del politico nel trovare le giuste leve per armonizzare i livelli di reddito e di godimento dei benefici materiali che la "generazione distribuita" di energia pulita produrrà. La comunità umana scoprirà, dopo l’abbandono dell’era del petrolio, che lo sfruttamento indiscriminato delle risorse della Terra costituisce un atto eticamente scorretto. Per addivenire a questo "passaggio" c’è bisogno di una profonda trasformazione culturale e scientifica. Molti stanno lavorando per rendere possibili questi eventi nel futuro, mentre dubitano che gli attuali politici possano essere preparati a guidare, in modo socialmente accettabile, questi "passaggi" cruciali. Per il momento la casta sta semplicemente chiedendo vittime sacrificali da immolare sull’altare del mercato, facendo credere a tutti che "il mondo sta cambiando". Parlano, tuttavia, di un mondo vecchio, senza comprendere affatto l’unico scenario futuro possibile per l’astronave Terra. Sono cariatidi imbalsamate che vorrebbero fermare il tempo, per continuare a godere dei loro privilegi. Sono cariatidi cieche, infine, perché non comprendono che il vecchio modello economico e finanziario non regge più; dovremo cercare nuovi approdi socio-economici e formulare nuove proposte politiche per poter risolvere, in modo definitivo, i nodi congiunturali che questa classe dirigente ha creato. La strada sarà lunga e sarà bene cominciare da subito questo cammino.  

[1] J. Rifkin, Economia all’idrogeno, Arnoldo Mondadori Editore (2002).

1 commento:

  1. Condivido a pieno! Forse per liberarci di loro dovremmo prima liberarci da quell'illusione che abbiam bisogno della loro energia, del trasporto del cibo x migliaia di km, delle loro medicine .... e come? Semplicemente uscendo "a riveder le stelle", l'Acqua il Sole le piante sono a portata di mano Madre Natura ci ha dato tutto; perché scavare miniere e pozzi, coltivare ettari di terreno per un solo tipo di alimento sterminandone altri altrettanto buoni e nati spontaneamente, perché ingozzarci per stare male quando possiamo star meglio lavorando di meno e mangiando meno e meglio? E' normale che un padre di famiglia sia disposto a incatenarsi per lavorare in condizioni di schiavitù se gli fanno credere di non avere alternative. Eh sì la strada per il ritorno dell'uomo ad esser parte di un eco-logico-sistema e non più di un economico-sistema è lunga ma possibile!!!

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