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venerdì 26 ottobre 2012

Il "post" del lavoro

La crisi economica in atto è gravissima e gravissime sono le conseguenze sociali. La disoccupazione, male endemico dei territori interni e marginalizzati, quale anche il Vallo di Diano, sta assumendo dimensioni mai conosciute prima. Non c'è bisogno di statistiche, infatti, per notare quanto disagio sociale vi sia nei nostri paesi e, nonostante la diffusione del fenomeno della crescita della disoccupazione giovanile e non, quante siano scarse le risposte che provengono dalle istituzioni a sostegno dell'occupazione.

Una proposta di creare una banca dati efficace per far incontrare, localmente, la domanda e l'offerta di lavoro e per far conoscere alle imprese locali le competenze in possesso dei nostri giovani viene proprio da un "cervello in fuga" dal Vallo di Diano. Ma quanto distante è attualmente il sentire delle pubbliche amministrazioni dai bisogni concreti dei cittadini e del territorio? Questa distanza si misura in anni luce, non più in chilometri. Basti  notare con quanto ardore si sta, in questi giorni, affrontando il falso problema della scelta del candidato alla guida delle coalizioni nelle prossime elezioni politiche, piuttosto che pensare ai progetti da mettere in campo per salvare la Nazione (verbo non inteso nell'accezione esiziale corrente, tuttavia). Qui ci permettiamo di fare una semplicissima proposta agli Enti Locali, sperando che gli illuminati amministratori non considerino la stessa con la solita saccente protervia.  
Biomassa che cresce naturalmente nel canale parallelo al
fiume Tanagro in località S. Agata. Se raccolta, questa
biomassa potrebbe essere utilizzata per il riscaldamento degli
edifici pubblici e non ostruirebbe, d'inverno, il fluire delle
acque piovane.

Partiamo da una considerazione: fino a qualche anno fa si usava la legna per riscaldare le case. Oggi, invece, si usano - in genere - carburanti fossili per alimentare le caldaie degli edifici pubblici (case comunali, scuole, ospedali, uffici, etc.). La combustione in loco di petrolio e suoi derivati presuppone l'estrazione e il trasporto del greggio, il trattamento dello stesso e un secondo trasporto del prodotto raffinato ai distributori. Questi ultimi, infine, forniscono l'Ente pubblico del necessario per riscaldare gli ambienti (vedi figura 1). Per i gas naturali, saltando il passaggio del trattamento, il viaggio fino alla meta ultima è pressoché identico. Per far diminuire il fabbisogno di carburante si potrebbe (e forse si dovrebbe) fare in modo che gli edifici siano meglio isolati dagli agenti atmosferici (sia dal caldo eccessivo sia dal freddo, quindi).
Percorso del petrolio per arrivare ad essere utilizzato come 
carburante per il riscaldamento degli ambienti. L'utilizzo di 
questo combustibile non solo introduce un inquinamento 
"non autoctono", ma incoraggia la trivellazione di zone al 
momento lontane.

Supponiamo adesso che i nostri edifici pubblici (ragionando a livello comprensoriale, come suggeriva il compianto Gerardo Ritorto, in questa proposta) abbiano a disposizione una piccola caldaia per bruciare biomassa. Per biomassa qui intendiamo solo l'insieme degli scarti agricoli e forestali, o qualche specifica coltivazione arborea effettuata in terreni non utilizzabili per l'agricoltura. I nostri paesi sono ricchi di questa materia prima, reperibile sugli argini delle strade, sulle sponde dei fiumi, nei campi in pianura o sui monti circostanti. Non tanto ricchi, tuttavia, per alimentare super-centrali, come quella che qualche Solone locale (forse spalleggiato da qualche allegra combriccola) avrebbe voluto costruire nel mezzo della vallata. Per effettuare una stima del numero di caldaie che possiamo alimentare, si dovrebbero censire boschi, macchie e terreni nel Vallo per conoscere il quantitativo di biomassa che è possibile ottenere in un anno. Bruciando biomassa locale, gli scarti della combustione ritorneranno all'ambiente e verranno assorbiti di nuovo dalle piante, non producendo così alcun saldo attivo di sostanze di scarto immesse nell'ambiente, come mostrato nella figura 2.

Filiera cortissima per il riscaldamento degli ambienti. L'utilizzo 
di biomassa non introduce alcun saldo netto di inquinamento,
potrebbe risolvere alcuni problemi occupazionali, creare 
ricchezza locale e, infine, prevenire la combustione di boschi
e macchie durante i mesi estivi. 
Ma, ci domandiamo, è solo questo il beneficio? Assolutamente no. Un beneficio importante è quello che, se facciamo a meno di bruciare petrolio o gas naturali, ci arricchiamo, invece di far arricchire le solite compagnie. In che modo? Immaginiamo che l'Ente pubblico sia disposto a pagare una frazione del controvalore di circa 1,70 EUR per 3,0 Kg di biomassa* preparata in modo da essere bruciata nelle caldaie che si hanno nelle cantine.

Perché una data frazione di 1,70 EUR e perché proprio 3,0 Kg? Perché la prima è una frazione della somma che si spenderebbe per un litro di gasolio (prezzi attuali) e la seconda è la quantità di legname (stimata in eccesso) che si dovrebbe bruciare per ottenere la stessa energia che otteniamo dalla combustione del litro di gasolio stesso. La stima della frazione adeguata da corrispondere alla filiera locale andrebbe fatta con uno studio di fattibilità redatto da esperti. A chi vanno alla fine questi soldi? Ed ecco qui il significato del "post" del lavoro.

L'organizzazione della raccolta della biomassa non è cosa semplice (come potrebbe sembrare a primo acchito) e non poco faticosa; un semplice impianto di trattamento per la triturazione e la pressatura del prodotto, poi, non si gestisce in modo gratuito. Pertanto, quei denari andrebbero a tutta la filiera della raccolta della materia grezza e della preparazione del prodotto finale in tronchetti (ad esempio). La filiera (cortissima) di produzione dovrebbe quindi fornire pezzi di dimensione predefinite per alimentare le caldaie degli enti pubblici. In questo modo quei soldini che andavano a impinguare le casse delle multinazionali del petrolio, che portano inquinamento "non autoctono" da lontani pozzi petroliferi, potrebbero restare in loco. E non solo. In questo modo si combatterà la disoccupazione, avendo creato posti di lavoro tesi ad allontanare, in modo intelligente, il rischio dell'avvento delle trivelle in queste terre.

La bellezza dei luoghi risplenderebbe per mezzo dell'intervento continuo dell'uomo e il biglietto di presentazione della vallata alle "oil companies" sarebbe un bel paesaggio e monti e fiumi, e corsi d'acqua e campagne ben tenuti. Lo stesso discorso, se si vuole, si potrebbe fare con la gestione del bene acqua, "mutatis mutandis". Ma forse qualcuno si è distratto un poco su quest'ultimo argomento. Anzi, in un paese del Vallo di Diano che conta fior di professionisti, si è deliberato di affidare il Piano Energetico Comunale ad una (stra)nota azienda per la gestione idrica. Tentano forse di buttare "acqua sul fuoco"? Bontà loro!

Il segreto, quindi, non è solo pensare in modo critico "globalmente" (comodo per non farsi nemici "localmente"), ma far seguire, a questi pensieri critici, anche l'azione sul posto. E bisogna cominciare, per questo, dagli Enti locali, perché diano un esempio alle famiglie. Infatti, la filiera che si creerebbe per far fronte alle necessità degli edifici pubblici potrebbe essere in grado, col tempo, utilizzando colture arboree specifiche, di soddisfare la domanda di energia che promana dalle famiglie. A patto che queste idee, che non vengono da Marte, possano essere prese in seria considerazione dalle persone giuste, che hanno a cuore il futuro del globo e del nostro territorio e non solo quello delle proprie casse e di quelle dei propri "clientes". Soprattutto, poi, se queste casse fanno acqua, anche se l'acqua fa già la cassa. "Intelligenti pauca".



* Il prezzo di mercato della legna da ardere, per quello che può essere dedotto dalle offerte presenti su rete, è di circa 15 EUR al quintale.

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