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domenica 6 aprile 2014

Pulce non c'è

Mi pregio di proporre, sul mio blog personale, un intervento di Giulio Pica sull'eccezionale evento del 05-04-2014: la presentazione del film "Pulce non c'è" al cinema Adriano di Sala Consilina da parte del regista, Giuseppe Bonito.  

Sala Consilina, 05-04-2014
Giulio Pica
In questi giorni, al cinema Adriano di Sala Consilina, si sta proiettando il film "Pulce non c'è", un lavoro davvero eccellente che avrebbe dovuto attirare l'attenzione del grande pubblico, non solo per l'importanza della tematica affrontata, ma anche perché il regista, Giuseppe Bonito, è un giovane cittadino salese che qui è cresciuto, si è formato, ha trascorso tutta l'infanzia e l'adolescenza ed il cui impegno avrebbe dovuto destare un minimo di curiosità nei suoi concittadini.

Giuseppe ha affrontato con delicatezza il classico tema della dialettica dolorosa e problematica che spesso di determina tra famiglia e istituzioni, il clima di contrapposizione che si crea tra le relazioni affettive ed emotive che si instaurano tra genitori e figli fratelli e sorelle, e la freddezza asettica, se non addirittura l'ottusità, con la quale gli organi dello Stato - assistenti, sociali, psicologi, giudici - penetrano nell'ambito familiare al fine di tutelare i soggetti più deboli, finendo il più delle volte, per acuire le loro difficoltà. Per un equivoco, non si sa quanto voluto o quanto incolpevole, il padre di Pulce, la bambina autistica protagonista del film, viene accusato di perpetrare abusi sessuali sulla figlia e, in seguito a ciò, viene inserito nell'ingranaggio infernale della macchina statale che gli sottrae la bambina e lo trascina in un percorso kafkiano costellato da visite interminabili con psicologi ed assistenti sociali, giudici e pubblici ministeri, e disseminato di perquisizioni domiciliari, sequestri ed altre intrusioni nella vita familiare che rischiano di minare l'equilibrio psicologico di un uomo.

Emblematica è, a tal proposito, la scena del film durante la quale il padre ha l'intenzione di tagliarsi le vene ma poi prevalgono in lui la lucidità e la certezza che la verità, alla fine, emergerà. L'immagine delle istituzioni che viene fuori dal film di Giuseppe Bonito non è certo edificante e, del resto, sono numerosissimi i casi reali in cui l'impreparazione e la superficialità di chi opera nei servizi sanitari e nei tribunali hanno prodotto effetti devastanti sugli individui e sulle famiglie. Purtroppo sovente lo Stato, un'istituzione creata dagli uomini anche per tutelare i diritti dei più deboli, finisce per mostrare il suo volto più ottuso e crudele: basti pensare al maestro di Vallo della Lucania lasciato morire legato in un letto di ospedale, alla morte di Stefano Cucchi, al pestaggio del diciottenne Aldovrandi da parte di alcuni poliziotti, per non parlare della "macelleria messicana" messa in atto dai poliziotti della scuola Diaz a Genova durante il G8.

Perciò, restando valida la descrizione che Giuseppe ha fatto della macchina statale e dei guasti che essa può produrre, vorrei però sottolineare il rischio che in un paese come l'Italia fondato sulla retorica della famiglia, si può correre nel mostrare solo un risvolto della medaglia. Se la famiglia è l'ambito degli affetti primari e dell'amore, spesso essa è anche il luogo in cui si perpetrano effettivamente abusi e violenze sui più deboli, i cui mariti e partner violenti percuotono ed uccidono le proprie compagne, in cui le problematiche non risolte degli adulti si ripercuotono sullo sviluppo psicologico dei figli, segnandolo negativamente. In questi casi lo Stato, ovviamente con tutte le attenzioni possibili, non può non intervenire a tutela dei soggetti abusati, svolgendo l'inevitabile ruolo di supplenza che gli è richiesto come soluzione estrema di problemi altrimenti irrisolvibili.

Film bellissimo, quindi, serata di buon cinema ed anche di confronto tra il regista ed i pochi spettatori presenti. Resta comunque l'amara constatazione che la comunità abbia prestato scarsa attenzione ad un proprio concittadino che altrove ha avuto il riscontro che il suo talento merita.


Il problema del Sud e, probabilmente di tutte le realtà di provincia, è che i giovani dotati di talento devono andarsene via per esprimere al meglio le proprie potenzialità, rischiando altrimenti di essere riassorbiti dalla palude di mediocrità e grettezza che avvolge società civile e classi dirigenti.

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