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lunedì 25 luglio 2011

LA NOBILE PAROLA D’ONORE DI UN RE E I MOTI DEL CILENTO DEL 1828

Potrebbe sembrare che queste righe non abbiano alcuna attinenza con il presente. Eppure la storia, sebbene insegni poco a chi ambisce a vestire i panni del tiranno, è sempre viva e dal passato, a volte, investe la nostra quotidianità con un flusso continuo di passioni, idee e ricordi. Il post è stato scritto, anche grazie alla consultazione di Wikipedia, dopo una visita a Bosco il 24 luglio 2011. 

·         Cosa successe nel 1828 a Bosco e perché la gente si ribellò?
Nel 1820 il Re Ferdinando I delle Due Sicilie, in seguito ad alcune sommosse organizzate dalla Carboneria, fu costretto a concedere una costituzione ai suoi “sudditi”. Pochi mesi dopo, tuttavia, lo stesso Re – rinnegando i suoi stessi giuramenti - chiese ai suoi alleati di aiutarlo a restaurare il regime assolutistico. In questo modo, l’anno successivo (1821) le truppe austriache, dopo aver sconfitto l’esercito borbonico guidato da Guglielmo Pepe, presero la città di Napoli. La costituzione fu quindi abrogata, formalmente contro la volontà del Re. I Carbonari cercarono di riorganizzarsi per ottenere di nuovo la possibilità di mitigare il potere assoluto del Re attraverso il Parlamento napoletano e per poter portare avanti gli ideali di eguaglianza e di libertà.

Bosco: la chiesa di San Nicola
Il canonico Antonio Maria De Luca, nato Celle di Bulgheria nel 1764, nel breve periodo costituzionale fu deputato al Parlamento per il distretto di Vallo della Lucania. Il canonico organizzò, con i Filadelfi (massoni del Cilento e dell’irpinia), la sommossa  nell’estate del 1828. Un congiurato, tuttavia, lasciò trapelare l’intenzione rivoluzionaria, che venne scoperta in anticipo dal Re Francesco I, che nel frattempo era succeduto a Ferdinando I. Dopo i primi moti locali nel Cilento nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1828, il maresciallo Del Carretto, già carbonaro e capo di Stato Maggiore nell'esercito costituzionale di Guglielmo Pepe, prese a marciare da Napoli alla volta del Cilento alla testa di 8.000 soldati. I ribelli, alla notizia dell’arrivo dell’esercito, consapevoli della loro inferiorità numerica e delle loro limitate capacità belliche, si dispersero.
Josè Ortega: Campesina de Bosco
(dettaglio)
Giunto nel Cilento, il maresciallo Del Carretto fece radere al suolo a cannonate la cittadina di Bosco. Furono eseguite numerose condanne a morte e le teste degli insorti giustiziati furono esposte nelle località della zona. La resa ufficiale avvenne a Vallo della Lucania il 7 luglio 1828, ma molti insorti si dettero alla macchia. Il canonico ribelle non fu trovato dal maresciallo Del Carretto, che minacciò di riservare la stessa sorte di Bosco a Celle di Bulgheria, paese natale di De Luca. Quest’ultimo, però, per evitare una dolorosa sorte al proprio paese, si consegnò all’esercito borbonico e il 24 luglio 1828 venne giustiziato, insieme al nipote, anch’egli canonico. Per l’esecuzione si aspettò la scomunica dell’arcivescovo di Salerno Camillo Alleva, che arrivò puntuale. Le crudeli azioni repressive si protrassero per circa un anno. I fratelli Capozzoli (Donato, Domenico e Patrizio), infatti, fuggiti in Corsica e poi tornati a Palinuro, vennero fucilati in pubblico e le loro teste furono mozzate e portate in mostra nei paesi limitrofi.

·         Bosco e Josè Ortega
Concludo questo post con le parole di Ugo Di Pace*, nel tentativo di capire il legame ideale tra i moti del 1828, la cittadina di Bosco – tranquillamente adagiata tra i monti del Cilento e lo splendore del Golfo di Policastro - e la pittura e l’ideologia di Ortega.

Josè Ortega
“Il pittore del mondo contadino, nato nella terra di Don Chisciotte, scelse quella cittadina di poche centinaia di anime come seconda casa. Poteva essere Parigi, dove Ortega, condannato dal regime franchista per reati di opinione, si trasferì in esilio nei primi anni Sessanta. Poteva essere Matera, la città dei Sassi, dove pure Ortega andò a vivere nel 1973» . L’artista spagnolo che la critica definisce un esponente del realismo pittorico con Guttuso, Migneco, Cantatore e Guerricchio, scelse Bosco, per vent’anni, prima di andare a morire a Parigi. E sembra di vederlo Ortega nella sua casa di Bosco, tra le famose maioliche che raffigurano i moti rivoluzionari risorgimentali del 1828. Era qui che Ortega, grande amico di Sandro Pertini, trovò serenità ed ispirazione. Forse perché qui, nel Cilento, Ortega ritrovò uomini e donne liberi, refrattari ad ogni tentativo di oppressione, uomini e donne pronti a ribellarsi a tutte le forme di odiosa limitazione della libertà”.
* Ugo Di Pace, “Bosco omaggia l’arte di Ortega, pittore comunista allievo di Picasso”, Corriere del Mezzogiorno, 1 luglio 2011 cormezz_UgoDiPace

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